Emergenza profughi alla stazione di Como: spunta anche un caso di malaria

Un’eritrea si è sentita male, visitata in ospedale e subito dimessa

Operatori del 118 soccorrono la donna eritrea

Operatori del 118 soccorrono la donna eritrea

Como, 22 agosto 2016 - Sempre più precaria la situazione tra i profughi accampati da un mese e mezzo nel parco di via Tokamachi, fuori dalla stazione San Giovanni. L’altro giorno hanno tentato di salire in massa su un Intercity diretto in Svizzera, illusi dalla voce poi rivelatasi falsa che il Canton Ticino avesse aperto le frontiere, e ora si scopre che una donna eritrea ospitata da qualche tempo nel campo sarebbe stata contagiata dalla malaria. Una conseguenza dell’interminabile viaggio dal Corno d’Africa alle coste della Libia, fino alla traversata del Canale di Sicilia. La donna si sarebbe sentita male l’altra sera, febbre alta e vomito, irrigidimento dei muscoli del collo e difficoltà a respirare. I connazionali hanno compreso immediatamente la gravità della situazione e l’hanno trasportata a braccia fino al presidio medico mobile che da una decina di giorni è in funzione all’ingresso della stazione.

I medici dell’Ats Insubria hanno immediatamente compreso la gravità della situazione e l’hanno trasportata all’ospedale Sant’Anna per esami più approfonditi. È bastato un esame del sangue per capire che si trattava di malaria, contratta a causa della puntura di una zanzara nell’ultima parte dell’interminabile viaggio attraverso l’Africa. Considerato lo stato d’incubazione che varia da dieci giorni a un paio di settimane l’ipotesi più probabile è che la giovane sia stata contagiata mentre si trovava in Libia, subito prima di tentare la traversata alla volta dell’Italia. Visto che la malattia non è infettiva e la donna non era in immediato pericolo di vita ai medici non è rimasto altro da fare che prescrivere la profilassi medica. Impossibile trattenerla in ospedale dal momento che ha rifiutato il ricovero, temendo di essere separata dal resto del suo clan e di rimanere chissà fino a quando nel nostro Paese, che considera solo un luogo di transito. La sua meta, come quella della maggior parte dei suoi connazionali, continua a essere la Germania. Non solo, molte donne etiopi ed eritree spesso rifiutano le cure per questioni legate alla loro cultura ancestrale: ad esempio temono di essere avvicinate da persone con oggetti metallici e spesso anche sottoporsi a una semplice visita diventa un problema. Non è un caso che alla stazione di Como negli ultimi giorni insieme alle forze dell’ordine, che hanno il compito di monitorare la sicurezza all’interno del campo, hanno fatto la loro comparsa anche i mediatori culturali.

Toccherà a loro spiegare ai profughi che entro la metà di settembre dovranno abbandonare quest’area e l’illusione di attraversare la Svizzera senza documenti. Per loro entro le prossime tre settimane verrà predisposto un campo di accoglienza munito di container. Anche la Prefettura preferisce definirli «moduli abitativi», in cui trecento di loro troveranno accoglienza a patto di presentare domanda di asilo in Italia.