Passeggiata galeotta alla Curtesela: l’Einstein che non ti aspetti a Como

Mano nella mano per il dedalo di vie sino al Duomo, il genio si fidanza

Albert Einstein

Albert Einstein

Como, 23 maggio 2017 - Per scoprire che anche l’amore è relativo il papà della teoria più importante del XX secolo, Albert Einstein, dovette venire a Como. Non da solo, con lui c’era Mileva Marić, la donna che poi sarebbe diventata sua moglie e che all’epoca faceva già parlare di sé per essere stata la prima studentessa di Fisica a essersi iscritta al Politecnico di Zurigo. Fu a lezione che il giovane Albert conobbe e si invaghì di quella giovane, quattro anni più grande di lui, descritta come bruttina e claudicante ma talmente colta da essere in grado di conversare con disinvoltura di fisica e filosofia. Un amore intellettuale, verrebbe da dire platonico, quello scoppiato tra i due che spinse però Albert ad abbandonare la sua fidanzata dell’epoca e a mettersi contro l’intera famiglia.

Nella primavera del 1901, quando Einstein si trovava a Milano, per dare una mano al padre che era un brillante ingegnere esperto di dighe elettriche che aveva degli affari in Nord Italia, il desiderio di rivedere Mileva si fece così bruciante da spingere il futuro inventore della fisica quantistica a prendere carta e penna e scrivere, alla sua maniera, quella che doveva essere una lettera d’amore. «Prova a immaginare, Dollie. Le acque di quel luogo così celebre che ti lambiscono i piedi, le Alpi innevate tutt’intorno a noi. Devi venire assolutamente a trovarmi a Como, mia piccola strega. Vedrai tu stessa come sono diventato vivace e allegro e come tutto il mio aggrottare le ciglia sia finito».

Il 5 maggio la Maric arriva con un treno partito da Zurigo alla Stazione San Giovanni e Albert è lì ad aspettarla. «Vagammo per le vie di una Como che aveva appena iniziato a svegliarsi. Tenendo la mia mano al sicuro nel nido del suo braccio, Albert mi guidò per le stradine acciottolate fino al Duomo del Quindicesimo secolo che torreggiava sulla città. All’interno, mi fece percorrere la navata centrale con le sue mattonelle bianche e nere e mi condusse davanti a due scoloriti ma elaborati arazzi fiamminghi, quindi mi mostrò tre meravigliosi dipinti di Bernardino Luini e Gaudenzio Ferrari». Il giorno dopo i due prendono «uno dei magnifici battelli bianchi che fanno la spola da una sponda all’altra» e si recano a Villa Carlotta dove ammirano la copia di Amore e Psiche del Canova. Poi, passata la notte in una locanda, partono per un’escursione in montagna, ma trovano neve «alta fino a sei metri» e noleggiano uno slittino «con il conducente sta dietro, in piedi su una tavoletta, chiacchiera tutto il tempo e ti chiama signora. Puoi immaginare qualcosa di più bello?». Confessa Mileva in una lettera a un’amica. Nove mesi dopo nascerà la loro prima figlia, Lieserl.