Conca di Crezzo, tragedia aerea nei cieli del Lario: 30 anni fa il disastro dell'Atr 42

"Siamo in emergenza", furono le ultime parole che i tecnici della torre di controllo di Linate colsero dalla radio la sera del 15 ottobre del 1987

La mattina successiva le forze dell’ordine e i soccorritori sul pendio scosceso fra i resti del turboelica (Cardini)

La mattina successiva le forze dell’ordine e i soccorritori sul pendio scosceso fra i resti del turboelica (Cardini)

Barni (Como), 15 ottobre 2017 - Conca di Crezzo, trent’anni fa la tragedia aerea nel Triangolo Lariano. «Siamo in emergenza», furono le ultime parole che i tecnici della torre di controllo di Linate colsero dalla radio la sera del 15 ottobre del 1987. Sedici minuti dopo il decollo, dell’Atr 42 diretto a Colonia con a bordo 34 passeggeri e tre membri dell’equipaggio, sui radar si persero le tracce. Sulle cime del Lario era ormai calato il buio e nessuno si rese conto immediatamente del disastro quando un boato squarciò il silenzio dell’alta Vallassina intorno alle 19.30. Pioveva a dirotto e il turboelica dell’Ati, con la sigla Az 460, si schiantò nell’area di Conco di Crezzo, su un pendio scosceso.

Una zona boschiva che scende a capofitto verso il lago. Scattò l’allarme. Forze dell’ordine, soccorritori e cronisti si misero subito alla ricerca dell’aereo, ma fu solo il mattino seguente che la tragedia di mostrò in tutta la sua proporzione. Qualche tempo fa fu Gianattilio Beltrami, presidente della Delegazione lariana del Soccorso alpino, morto a giugno di quest’anno durante una salita al Monte Bianco, a raccontare l’angoscia di quel momento. Fu il primo infatti ad essere sbarcato da un elicottero sul luogo del disastro aereo durante un’imponente operazione di soccorso coordinata da Daniele Chiappa. 

«Quando ci avvicinammo c’era buona visibilità. Pensavamo di vedere l’aereo o almeno alcune parti. Ma quando arrivammo sopra l’area dell’impatto ai nostri occhi appariva solo una grande discarica. Non sembrava un aereo. Sbarcammo e fui il primo a scendere. Impiegai molto a capire. Psicologicamente mi aspettavo di trovare delle persone decedute. Ma non c’era un bel niente. Solo rottami. Con lo sguardo cercammo ancora fra i pezzi di lamiere. C’era tutto tranne delle persone. Poi l’occhio si abituò e allora capii: non era rimasto più niente di significativo se non brandelli fra i rottami dell’aereo e sugli alberi». Beltrami e gli altri uomini inviati sul posto la mattina successiva alla tragedia riuscirono anche a individuare la scatola nera dell’Atr42.

Negli anni seguenti, attraverso un lungo e drammatico processo che si svolse a Como si tentò di far luce sulla tragedia. Si puntò anche il dito contro i due piloti Lamberto Lainè e Pierluigi Lampronti, morti nell’impatto. avessero informato e istruito adeguatamente i piloti per affrontare «condizioni eccezionali di ghiaccio» sarebbero forse riusciti a evitare di precipitare. Per la Cassazione invece non ci fu nessun colpevole ma solo una catena di cause. Furono condizioni eccezionali e il ghiaccio, che imprigionò le ali a provocare la tragedia dell’Atr 42 precipitato sulle montagne del Triangolo Lariano