Como, 3 maggio 2014 - Per oltre tre anni, avrebbe fatto commercio dei dati contenuti negli archivi in uso alla polizia, vendendoli al titolare di una agenzia di recupero crediti. Con l’accusa di corruzione, è così finito in carcere a Brindisi Cosimo Bersano, 53 anni, sovrintendente della Polizia di Stato, attualmente in servizio negli uffici della Squadra Volante di Como. Le contestazioni partono da fatti del 2011, e si sono concluse solo pochi giorni fa, quando il sostituto procuratore Massimo Astori, ha chiesto la misura cautelare, unico provvedimento cautelare di un’indagine che coinvolge altre dieci persone.

Si tratta innanzitutto del titolare dell’agenzia a cui Bersano avrebbe ripetutamente fornito le informazioni richieste – Davide Mulfari, 41 anni di Como, titolare della ditta Mjm Recupero Crediti di Como – ma anche di conoscenti che gli avrebbero chiesto verifiche della più svariata natura. Nel primo caso, i risultati degli accertamenti sarebbero stati pagati cifre variabili tra i 10 e 50 euro, mentre le altre accuse deriverebbero da favori fatti a conoscenti e, in un paio di casi, anche ad ex colleghi.

L’indagine è partita da tutt’altra vicenda, una denuncia presentata alla Guardia di finanza di Lecco, da una ex collaboratrice di Mulfari, che vantava pendenze economiche. La donna, nel rivolgersi ai militari di Lecco, aveva spiegato di non essere andata a Como in quanto l’ex datore di lavoro aveva legami con appartenenti alle forze di polizia, e spiegando la natura di questi rapporti. La notizia di reato è quindi giunta a Como poco meno di un anno fa, facendo partire una serie di accertamenti su Sdi e Ced, i due servizi di informazioni ai quali gli appartenenti alle forze di polizia possono accedere attraverso le password personali. Inoltre, gli inquirenti hanno proceduto con intercettazioni telefoniche, per arrivare a formulare un’accusa di corruzione nei confronti di Bersano.

La quantità di informazioni che sarebbe stata effettivamente divulgata dal sovrintendente, non è stata quantificata con esattezza, ma le ipotesi di reato parlano di numeri elevatissimi, con oltre tre anni di comunicazioni che avvenivano con cadenza almeno settimanale, ma in alcuni casi ripetute più volte anche nella stessa giornata, e inviate via mail a caselle di posta elettronica dei rispettivi richiedenti. Inoltre, in alcuni casi, Bersano si sarebbe rivolto a ignari colleghi appartenenti anche ad altre forze di polizia, di fornire dati specifici ai quali non poteva accedere direttamente, motivate come normali esigenze investigative.

Tra le contestazioni compaiono tuttavia anche interrogazioni alle banche dati, fatte per compiacere colleghi o amici che necessitavano di informazioni non necessariamente coperte da segreti, ma difficilmente reperibili o non di pubblico accesso. Le indagini sono ancora in corso, per arrivare a ricostruire la lista di persone che hanno ottenuto informazioni da Bersano, e capire con maggiore precisione le condotte e le motivazioni, personali o professionali, di ogni persona coinvolta.

di Paola Pioppi