Mozzate (Como), 4 marzo 2014 - Per mesi, aveva cercato di riportarla a casa. A Rimini, dove aveva vissuto con lui negli ultimi anni. Dove aveva avuto un figlio con lui, cinque anni, e si era creata una famiglia assieme anche al bambino più grande, di 11 anni. Ma il 13 luglio dello scorso anno, da quella casa Lidia Nusdorfi era scappata. Aveva lasciato andare al mare il compagno e i due bambini, ed era sparita. Si era trasferita dai parenti di Mozzate, dove viveva tuttora. A spingerla ad abbandonare casa e figli, secondo lo stesso Dritan e i suoi parenti, era stata la sbandata presa per un giovane cugino di Demiraj, albanese: ogni anno, per tre mesi Lidia stava in Albania con i figli, e qui avrebbe preso la sbandata per il ventenne, che l’aveva poi spinta da andarsene di casa. Ma quella relazione, ammesso che ci sia stata, non era durata molto.

Il padre di Dritan se ne era accorto e qualcosa aveva detto, ma i due alle spalle avevano anche una denuncia per maltrattamenti, con la prospettiva di otto mesi di condanna a carico dell’ex convivente, ma Lidia aveva ritirato l’esposto, e tutto era stato archiviato. Demiraj, per mesi, aveva cercato di convincere la donna a tornare, da lui e dai suoi figli, che considerava entrambi suoi, anche quello nato dalla precedente relazione di Lidia. Ma lei non cambiava idea, e Dritan si convinceva sempre di più che l’unica cosa da fare era quella più estrema. Così avrebbe raccontato, domenica notte ai carabinieri di Como e di Rimini, i motivi di quel gesto così risoluto e pianificato, che ora si è trasformato per lui in un’accusa di omicidio volontario premeditato. 

«Ci avevo già pensato», avrebbe dichiarato l’uomo, ormai preso dal ritmo irrefrenabile di una confessione che, dopo un primo tentativo di negare, è partita senza più freni, come una volontà di liberarsi di ogni cosa. L’avvocato presente all’interrogatorio, Nicolò Durzi, sostiene che in realtà «Dritan era andato per parlare con lei, non per ucciderla». Ma il ventottenne ha raccontato del coltello acquistato il giorno prima, usato per colpire Lidia alla gola e torace, e poi buttato lungo la strada, quasi subito. I carabinieri lo stanno cercando, ma per ora quell’arma non è riapparsa. L’incontro tra i due, è ancora da ricostruire in una serie di aspetti fondamentali. Come e perché Lidia Nusdorfi fosse arrivata alle 19 in stazione, non è chiaro. I due pare non si sentissero da una decina di giorni, così come sostenuto anche da Dritan, prima di andare dai carabinieri per essere sentito come testimone, e uscirne da indagato.

«Non eravamo in buoni rapporti – ha detto ieri mattina – ed erano almeno dieci giorni che non ci sentivamo. Non so nulla di quello che le è successo…». Le prime analisi dei telefoni confermerebbero questa affermazione: nel telefono di Lidia, non risulterebbero contatti con l’ex compagno da almeno una decina di giorni. Nemmeno in whatsapp, chat che usava assiduamente. I carabinieri, coordinati dal sostituto procuratore di Como Simone Pizzotti, stanno quindi verificando se qualcuno, di comune conoscenza, possa aver fatto da tramite tra i due.

Le ipotesi sono diverse, e vanno dall’appuntamento fissato con un amico, che ha poi lasciato campo libero a Dritan, fino a qualcuno che possa averla convinta a incontrarlo. Lui, durante l’interrogatorio, avrebbe invece negato di aver avuto un appuntamento con lei, sostenendo di aver girato per Mozzate fino a incrociarla, e di averla seguita nel sottopassaggio. Su questo punto, sarà utile la testimonianza di una donna di 36 anni, recente frequentazione di Dritan, che era con lui in macchina sabato sera. Sarebbe stata lei, domenica, a farsi avanti con i carabinieri, mettendo in relazione gli accadimenti con la sua gita nel Comasco. La donna, denunciata per favoreggiamento in attesa di chiarire la sua posizione, sostiene di non essersi accorta di nulla, e di aver atteso il ventottenne in auto per qui pochi minuti.