Luisago (Como), 28 gennaio 2014 - Coltivava marijuana sul balcone della sua abitazione, ed era finito a processo per produzione di sostanze stupefacenti. Ma il gup di Como, in applicazione di una serie di recentissimi indirizzi della Corte di Cassazione, lo ha assolto. Nicolò Marino, 35 anni di Luisago, nel luglio 2012 era stato trovato dai carabinieri di Fino Mornasco in possesso di sei piantine di cannabis, il cui principio attivo, così come rilevato dalle consulenze disposte dal Tribunale, variava dall’uno per cento fino a quasi l’otto per cento. Un riscontro positivo, anche se non elevatissimo, a cui si aggiungevano circa cinquanta grammi di foglie già essiccate trovate in un cassetto di un mobile in casa. Di fatto, la coltivazione di sostanze stupefacenti, è sempre stata ritenuta dalla legge “penalmente rilevante”, a prescindere dalla destinazione personale o per terzi, e dal quantitativo che poteva anche essere non eccessivo. Di fatto, la produzione attraverso coltivazione è sempre stata ritenuta più grave della semplice detenzione o spaccio.

Tuttavia il difensore di Marino, Davide Brambilla, ha depositato una memoria difensiva nella quale argomentava dettagliatamente sul concetto di “coltivazione”, partendo innanzi tutto dal presupposto che «l’assimilazione tout court della coltivazione industriale o semi-industriale della coltivazione della marijuana alla coltivazione domestica» è stata giudicata discutibile in più occasioni. Inoltre, quando si parla di «coltivazione», si intende abitualmente un’attività agricola in larga scala, destinata poi all’utilizzo a favore di terze persone. Non certo a «modesti quantitativi di piante messe a dimora in modo rudimentale in vasetti sul terrazzo di casa». Già il Tribunale di Milano aveva precisato, in una precedente sentenza, che «coltivare non significa allestire vasi e vasetti, ma governare un ciclo di preparazione del terreno, semina, sviluppo delle piante e raccolta del prodotto».

Inoltre, una ulteriore sentenza, aveva stabilito che «la condotta di coltivazione non può ritenersi in concreto offensiva allorché essa, esclusa la volontà di cedere a terzi le foglie una volta tagliate dalle piante, non metta a repentaglio la salute pubblica». In altre parole, una destinazione d’uso rivolta la consumo personale, come in questo caso, dove i carabinieri non avevano trovato nulla che potesse essere utilizzato per il confezionamento di dosi destinate a terze persone. Accogliendo le istanze della difesa, il gup Maria Luisa Lo Gatto ha stabilito che la non rilevanza penale può essere riconosciuta non solo quando le piante sono prive di principio drogante, ma anche quando non ci siano le condizioni per creare un danno alla salute pubblica, o quando la coltivazione non ha caratteristiche tali da incrementare il mercato. Marino è così stato assolto perché il fatto, così configurato, non costituiva reato.

di Paola Pioppi