Erba (Como), 26 gennaio 2014 - Per fuggire da casa si è lanciata dalla finestra del primo piano, la stessa che tutta Italia imparò a conoscere la sera dell’11 dicembre 2006, contornata dall’intonaco annerito dall’incendio appiccato da Rosa Bazzi e Olindo Romano nel tentativo di coprire le tracce della mattanza che si era da poco compiuta. Non c’è pace in via Diaz, nell’appartamento dove furono uccisi Raffaella Castagna, la madre Paola Galli, Valeria Cherubini e il piccolo Youssef dove nei giorni scorsi sono ritornati i carabinieri di Erba per cercare di ricostruire cosa abbia spinto una giovane madre romena che ora vive in quell’appartamento a gettarsi dalla finestra, forse in un disperato tentativo di fuga.

«Ho sentito gridare aiuto, mi sono voltato e ho visto una donna stesa a terra proprio sotto la finestra di quell’appartamento, quello dei Castagna - racconta Dino Losa, l’uomo che per primo ha soccorso la donna -. Era ferita alla testa. Poi è scesa una bimba. Diceva che era sua mamma e che i suoi due fratelli erano a scuola. Ho chiamato immediatamente i soccorsi».

Qualche anno dopo la strage, Carlo Castagna, padre, marito e nonno di tre delle vittime, decise di consegnare le chiavi dell’appartamento nelle mani di don Ettore Dubini, referente locale della Caritas che da quel momento in poi si è occupato della casa di Raffaella. La consegna ufficiale avvenne durante la messa in suffragio delle vittime della strage, quattro anni dopo la strage. “11-12-2006: le tenebre. 11-12-2010: la luce”, aveva scritto l’artigiano erbese sul cofanetto che contenva le chiavi dell’appartamento.
In questo periodo la casa è occupata da una famiglia di origini romene, moglie, marito e tre figli che frequentano le vicine scuole elementari.

L’altro pomeriggio però deve essere successo qualcosa di grave al primo piano. La donna si è lanciata in piedi, come se volesse fuggire di casa. È stata fortunata e guarirà in un mese ma i carabinieri la ascolteranno oggi per cercare di capire il motivo di quel gesto. «Fortunatamente ha sfiorato il marciapiede, perchè se fosse caduta poco più in là si sarebbe fatta molto più male - continua il testimone -. Sembrava disperata. Ho guardato in alto, nella finestra. Non ho visto nessuno». Del caso ora si stanno occupando anche i servizi sociali.

federico.magni@ilgiorno.net