Como, 5 ottobre 2013 - Al Giglio si raddrizza il Concordia e a Como si accontenterebbero, molto più modestamente, di vedere concludere il cantiere delle paratie sul lungolago cittadino. Progettate perché in città c’erano da spendere i fondi messi a disposizione dalla cosiddetta Legge Valtellina voluta dalla Dc, più che per la vera necessità idraulica di contenere l’acqua alta — che ogni decennio inonda il salotto buono lariano — le paratie avrebbero dovuto essere l’escamotage grazie al quale riqualificare a costo zero la passeggiata a lago in pieno centro storico.

Fu così che l’8 gennaio 2008 iniziarono i lavori del Mose lombardo che si sarebbero dovuti concludere rapidamente, entro il febbraio del 2011. A cinque anni di distanza non solo siamo ben lontani dalla fine dell’opera, ma ci troviamo nel paradosso di un lungolago ridotto a cantiere a cielo aperto, con nessuno dei tre lotti dell’opera concluso. Colpa dei lavori a rilento, ma anche del municipio che prima ha fatto costruire un muro di Berlino oscura-lago alto 2,5 metri e lungo 120 per contenere le acque e poi, quando lo scempio è stato denunciato, si è trovato costretto a fare marcia indietro abbattendolo, con gran sperpero di denari.

Una debacle pagata a carissimo prezzo dal punto di vista politico, con la città che un tempo era il Mugello in Lombardia del centrodestra che ha cambiato santo e schieramento di riferimento facendo vincere le elezioni a un sindaco targato Pd — di fatto il primo nel dopoguerra di centrosinistra —, pur di tornare a riappropriarsi della passeggiata. Anche così il neosindaco Mario Lucini ha avuto bisogno del governatore leghista della Lombardia, Roberto Maroni, per riuscire ad assicurarsi i fondi necessari per termine l’intervento, ben 11,5 milioni di euro, indispensabili per sperare di portare a termine l’opera. Insieme ai tempi sono infatti lievitati anche i costi, dai 15 milioni di euro iniziali ai 21 milioni dell’estate scorsa, computando le riserve presentate dal Comune, fino ai 27 milioni attuali che però dovrebbero assicurare ai comaschi un lungolago definitivamente concluso, anche se più limitato da un punto di vista idraulico rispetto al faraonico progetto iniziale.

Sul quando molto dipenderà dall’esito del confronto con Sacaim, l’azienda che oltre ai lavori in città sta realizzando non a caso anche le chiuse del Mose, a Venezia, e soprattutto dall’inchiesta aperta dalla Corte dei Conti. La magistratura contabile meneghina ha, infatti, concentrato la sua attenzione sul progetto, acquisendo le planimetrie e soprattutto i carteggi intercorsi tra Regione, Comune e costruttore. Diversi cassetti sono stati aperti sia al Palazzo della Regione sia a Palazzo Cernezzi, il municipio lariano, con i magistrati che sono al lavoro con l’aiuto di consulenti per stabilire se davvero fosse così necessario spendere un mare di soldi per contrastare le piene di un lago conosciuto in tutto il mondo per essere più che placido.

Dal Pirellone se ne sono accorti e infatti se ne sono guardati bene dal revocare a sé la direzione lavori, delegata al Comune. Anzi per il progetto di variante definitiva ci sarà tempo improrogabilmente fino al prossimo 31 dicembre, poi Como perderà i finanziamenti e la possibilità di mettere finalmente la parola fine sul cantiere della vergogna. Così, per non bagnarsi più i piedi in piazza Cavour, l’immagine dell’intera città rischierà di andare a fondo.