di Paola Pioppi

Como, 1 ottobre 2013 - «Mi avevano promesso tremila euro, solo per suonare il campanello e spaventarlo… non dovevo certo ammazzarlo per quei soldi… non è che mi hanno detto 300mila euro…». Tiziana Molteni, 54 anni, al processo per concorso in omicidio a carico di Santo Valerio Pirrotta, quarantaseienne di Lurago d’Erba, ha raccontato come è maturata l’idea di uccidere Antonio Caroppa, raggiunto da un colpo di pistola la sera del 10 maggio dello scorso anno, nella sua abitazione di Paderno d’Adda.

Incerta nel ricostruire i dettagli, contraddittoria rispetto alle dichiarazioni rese in precedenza, e a volte confusionaria, la Molteni ha risposto alle domande del pubblico ministero, spiegando soprattutto il ruolo di Pirrotta, vicino di casa del coimputato – e cugino – Fabio Citterio, 47 anni. Quest’ultimo, assieme alla Molteni, sono gli esecutori materiali di quel delitto, per i quali il processo con rito abbreviato previsto per oggi a Lecco, sarà probabilmente rinviato al 10 ottobre.

Pirrotta, secondo le accuse ribadite ieri dalla donna, sarebbe l’organizzatore di quella spedizione punitiva: «Ci aveva detto che Caroppa aveva violentato la figlia di un suo amico, e che andava spaventato per quello che aveva fatto»: per questo, i tre fanno almeno tre o quattro sopralluoghi fuori dall’abitazione della vittima, dopo averne verificato l’indirizzo in un’agenzia di pratiche auto di Valmadrera. «Pirrotta mi ha dato il numero di targa – ha detto la Molteni – mi ha detto di portare con me un coltello, perché non si sa mai come vanno le cose, e anche di usare i guanti per suonare il citofono, anche se ero incensurata. Mi ha detto che il suo nome non doveva mai uscire, qualunque cosa fosse successa, e che nel caso avrebbe pensato lui a trovare un buon avvocato».

Non può vedere in faccia Pirrotta mentre parla: il presidente della Corte d’Assise, Vittorio Anghileri, dopo alcuni tentennamenti iniziali della coimputata, impone alla polizia penitenziaria di creare un muro che impedisca ogni contatto visivo tra i due. Pirrotta, dalla gabbia, ripete preghiere e lascia scorrere tra le mani immagini di santi e un crocifisso che porta in tasca. Scuote la testa ogni volta che viene chiamato in causa, si copre il volto con le mani.

«Dovevamo solo minacciarlo – prosegue la Molteni, raccontando di ciò che è accaduto quella sera -. Io gli agitavo il coltello davanti alla faccia, come mi aveva detto di fare Pirrotta. Lo insultavamo e gridavamo, Caroppa mi ha preso i polsi e non voleva lasciarmi, allora Citterio ha estratto la pistola. Grossa e grigia, come quella che avevo visto nel garage di Pirrotta: gli ha detto adesso ti sparo, per farlo spaventare, ma il colpo è partito… Siamo rimasti un po’ così, un attimo, poi siamo usciti». La Molteni racconta anche di qualche giorno prima, quando avrebbe accompagnato Pirrotta al bar Experience di Cassago: «Mi ha detto che doveva parlare con un suo conoscente, che aveva a che fare con il padre della bambina violentata, ma mi sono dovuta allontanare mentre parlavano».