Como, 29 maggio 2013 - I giudici della Corte d’Appello hanno confermato sentenza di colpevolezza e quantificazione della condanna. Con solo una leggera ridefinizione di uno dei capi di imputazione. Don Marco Mangiacasale, sacerdote di 49 anni ed ex economo della Diocesi di Como, è stato condannato anche in secondo grado a 3 anni e 5 mesi e 20 giorni di condanna, dieci giorni in meno dei 3 anni e 6 mesi di primo grado, in considerazione della ridefinizione di una delle accuse riguardanti una delle ragazze, che nel frattempo aveva compiuto i 16 anni di età. 

Le imputazioni infatti, riguardavano una serie di episodi di violenza sessuale, avvenuti a partire dal 2008. Adolescenti avvicinate in un contesto circoscritto e confidenziale, quando avevano tra i dodici e i tredici anni, e quasi sempre frequentate per almeno tre o quattro anni, quasi tutte gravitanti attorno al contesto della parrocchia di San Giuliano di Como, dove Mangiacasale era stato parroco prima di essere trasferito al ruolo di economo, e per le quali costituiva un punto di riferimento. Nelle imputazioni, comparivano i nomi di cinque ragazzine. A scatenare le indagini su di lui, e l’arresto avvenuto il 7 marzo dello scorso anno, era stata la denuncia di una di queste ragazzine, che si era confidata ai genitori. Da qui erano partiti gli accertamenti che avevano portato a configurare le accuse legate a cinque minorenni.

In particolare, l’abuso sessuale contestato dal sostituto procuratore di Como Simona De Salvo, si configurava esattamente nel ruolo che lui ricopriva rispetto alle giovanissime frequentatrici della sua ex parrocchia, e quindi nell’aver approfittato del suo ruolo nel momento in cui ha portato a termine le condotte di cui è stato accusato. Dopo un periodo di alcune settimane trascorso in carcere al Bassone, a don Mangiacasale erano stati concessi gli arresti domiciliari in una struttura religiosa in Piemonte, dove si trova tuttora. Va da sé che i legali del sacerdote, ricorreranno ulteriormente in Cassazione, cercando così di allungare il più possibile i tempi di custodia cautelare che consentono all’imputato di consumare un periodo più lungo possibile agli arresti domiciliari, e scongiurando la possibilità di un nuovo ingresso in carcere in seguito alla pronuncia della sentenza definitiva.

Infatti, per reati di questo genere, non è previsto l’affidamento in prova, e qualsiasi residuo di pena da scontare quando la condanna sarà definitiva, scorporata da quanto già scontato, lo porterebbe verso il periodo obbligatorio di osservazione della personalità, che avviene obbligatoriamente in carcere. Sollecitata circa il procedimento canonico, la Diocesi ricorda che, come da prassi, tale procedimento è già stato avviato «nei modi, nei tempi e nei termini previsti». Ricorda inoltre che «per la sua prosecuzione è comunque necessario attendere che il procedimento penale in atto esaurisca tutti i gradi di giudizio».