Como, 1 marzo 2013 - Al giudice non ha detto nulla di quei minuti passati in casa di Claudio Rizzo, ucciso a 50 anni la notte del 9 maggio 2005, quando il commerciante comasco venne ucciso a pugni al termine di una rapina. A gup Luciano Storaci, ieri mattina, Kerekes Bogdan Muresan, 27 anni, estradato dalla Romania a fine aprile dello scorso anno, ha parlato dello stato di indigenza in cui viveva in Italia, e dei problemi quotidiani per sbarcare il lunario. Il suo arresto, dopo sette anni spesi tra indagini per identificarlo e latitanza all’estero, aveva consentito di chiudere una delle indagini per omicidio più difficoltose di questi ultimi anni, i cui tre responsabili, facevano parte di un sottobosco sociale difficile da individuare e rintracciare.

Tre giovani romeni che vivevano nella totale marginalità, cercando ogni giorno persone che li mantenessero o li accogliessero in casa. Spesso, con l’obiettivo di rapinarli, oltre che di ottenere denaro e regali. Ieri, nel processo con rito abbreviato, il sostituto procuratore Mariano Fadda ha chiesto una condanna a sedici anni di carcere, mentre la difesa di Giuseppe Sassi, ha sollecitato il riconoscimento dell’omicidio preterintenzionale e non volontario. A quasi otto anni da quel delitto avvenuto in un appartamento di via Milano bassa, la ricostruzione di cosa accadde quella notte nell’appartamento di Rizzo è ormai chiara. In ogni dettaglio.

Muresan fin da subito ha ammesso il suo coinvolgimento e spiegato ogni passaggio di ciò che accadde quella notte, quando andò a casa del commerciante assieme ai due complici: con lui c’erano Petre Covaci, 25 anni, condannato nell’ottobre 2007 in primo grado a sedici anni di carcere, e Florin Ghergheles, connazionale di 26 anni, che 12 febbraio 2010 è stato condannato a 28 anni di carcere dalla Corte d’Assise di Como, in contumacia, ma poi catturato in Germania dall’Interpol. Insieme avevano programmato di rapinare Rizzo, dopo averlo picchiato.

Secondo Muresan, lo avrebbero picchiato comunque, anche se non avesse reagito, per poi rapinarlo di denaro, televisioni al plasma, oggetti di valore, da spartirsi per rimediare qualche soldo in più di quelli che guadagnavano nella vita da strada. Lo avevano legato con fascette in plastica che gli stingevano i polsi, e poi colpito. Nelle rispettive versioni, ognuno di loro sostiene di essere quello che ha infierito meno sulla vittima, ma di fatto tutti lo hanno picchiato ripetutamente. Senza l’intenzione di ucciderlo, ma lasciandolo a terra in condizioni drammatiche, provocandogli un’emorragia interna da cui derivò un soffocamento. La sentenza martedì prossimo.

 

di Paola Pioppi