Mariano Comense, 9 novembre 2012 - «Un imprenditore che in modo consapevole e calcolato, apre le porte della sua azienda alla ‘ndrangheta». Così il pubblico ministero Alessandra Dolci, al termine del dibattimento del processo Infinito per le infiltrazioni della criminalità organizzata calabrese in Lombardia, ha definito Ivano Perego, chiedendo per lui una condanna a 14 anni e 6 mesi di reclusione. Ha sgombrato il campo dalla possibilità che fosse un «soggetto inconsapevole che ha avuto un incidente di percorso», elencando tutti i comportamenti e le circostanze che sarebbero indicative di scelte fatte con precisa cognizione, nella prospettiva di vantaggi sia per l’azienda che personali.

«Perego si serve di loro anche per cose banali, come l’intervento per la consegna ritardata di un’auto… Sa quali sono i loro metodi e ne approfitta». Cita frasi tratte dalle intercettazioni telefoniche e ambientali – «Ho a portata di mano un calabrese doc…», oppure le accortezze utilizzate con i familiari intimoriti dalle minacce: «Non parlare di queste cose al telefono» –, adottando comportamenti definiti «omertosi», perché, secondo l’accusa, «aveva iniziato a mutuare i comportamenti dei soggetti che gli erano vicini». Il pm spiega l’utilità, per un imprenditore con grossi problemi finanziari, di legarsi alla criminalità organizzata. «In questo modo – ha sostenuto la Dolci – Perego ha continuato a lavorare anche in condizioni di insolvenza, che era già accentuata nel settembre 2008.

Porta avanti l’attività fino a dicembre 2009, quando viene dichiarato il fallimento, ma nel frattempo ottiene ulteriori commesse, grazie alla presenza di Salvatore Strangio, incurante dei metodi illeciti. Grazie a questa santa alleanza, porta avanti un’azienda ormai decotta». Per contro, una società di medie dimensioni, presente in una quarantina di cantieri in Lombardia che operano anche nel movimento terra, per l’ndrangheta costituisce uno strumento importante per raggiungere gli obiettivi associazionistici.


Quanto ai reati fallimentari contestati all’ex amministratore di Peregostrade e, successivamente, di Perego General Contractor, il pm Alessandra Dolci parla di un passivo di 35 milioni di euro per la prima società, a fronte di un attivo di due milioni: «Qualunque impoverimento della Peregostrade, ha danneggiato i creditori, che si sono trovati a non poter esigere nulla dalla nuova società creata con Andrea Pavone, la Pgc. Il pagamento degli stipendi ai dipendenti, ha consentito il parziale salvataggio dei posti di lavoro, ma i creditori si sono trovati con un passivo di 18 milioni di euro».

di Paola Pioppi