Como, 3 dicembre 2010 -  Meno di un’ora per chiedere due ergastoli. Tanto è durata la requisitoria del Pubblico ministero di Como Antonio Nalesso al processo per l’omicidio dell’imprenditore di Colico Antonio Di Giacomo, ucciso a colpi di pistola nel pomeriggio di venerdì 9 ottobre 2009 in Centro Como. Secondo la Pubblica Accusa entrambi gli imputati, Emanuel Cappellato e Leonardo Parisi, hanno partecipato materialmente al delitto oltre che all’occultamento di cadavere. Per il primo Nalesso ha chiesto anche tre anni di isolamento diurno, uno per Panarisi. Una requisitoria iniziata analizzando i rapporti precedenti il delitto fra i due imputati, rapporti, secondo Nalesso, da sempre tesi, soprattutto da quando Panarisi finì in carcere alcuni anni or sono per una vicenda di droga, arresto che il pregiudicato di Tavernerio ha sempre addossato alla responsabilità del figlio del suo amico d’infanzia. Il Pm ha definito entrambi «esponenti della malavita comasca».


Panarisi, in particolare, ha diversi precedenti e arresti. Fu anche indagato per l’omicidio di Ciro Corrado avvenuto sul finire degli anni ‘90 nelle vicinanze del carcere del Bassone: la vittima era appena arrivata a casa e stava scendendo dall’auto quando fu freddato da una raffica di colpi di pistola. Il Pm ha ‘ammessò: «non sappiamo chi dei due ha materialmente premuto il grilletto, ma entrambi erano in quell’appartamento in quel momento». Cappellato ha sempre accusato Panarisi di essere l’autore materiale: «Ero sceso un attimo al bar sotto casa per farmi prestare una chiavetta internet e al mio ritorno quello era già morto», accuse che però Cappellato non ha voluto oggi confermare in aula.
Panarisi dal canto suo replica: «Ero a casa con mia moglie quando mi ha telefonato dicendomi che era nei guai e di aiutarlo. Arrivai a casa sua e trovai il cadavere a terra».


Oggi Panarisi ha dato dell’infame al suo coimputato. Secondo le ricostruzioni investigative Di Giacomo fu ucciso per rapina. Entambi hanno sempre ammesso di aver caricato il cadavere sul furgone giallo della vittima, dopo averlo chiuso in un armadio metallico appositamente comperato, per poi abbandonarlo a Tavernerio dove fu trovato il giorno dopo. Ora la parola passa alle difese. Per prima quella di Cappellato. Sentenza il 15 dicembre.