Tanti misteri nell’assalto sulla A9, "Avevano le chiavi del portavalori"

La presenza di un basista all’interno della Battistolli, è un’ipotesi che non ha mai trovato conferme certe, ma il sospetto viene considerato credibile, al punto da spingere il gup di Como Ferdinando Buatier, nel motivare i vent’anni di condanna inflitti ad Antonio Agresti, ad articolare un ragionamento logico attorno a questa possibilità di Paola Pioppi

Il sospetto che ci fosse stato un basista all’interno dell’azienda del portavalori viene considerato credibile

Il sospetto che ci fosse stato un basista all’interno dell’azienda del portavalori viene considerato credibile

Turate (Como), 4 febbraio 2015 - La presenza di un basista all’interno della Battistolli, è un’ipotesi che non ha mai trovato conferme certe, ma il sospetto viene considerato credibile, al punto da spingere il gup di Como Ferdinando Buatier, nel motivare i vent’anni di condanna inflitti ad Antonio Agresti, ad articolare un ragionamento logico attorno a questa possibilità. L’assalto, avvenuto l’8 aprile 2013 sull’autostrada A9, all’altezza dell’uscita di Turate, aveva reso un bottino da oltre dieci milioni di euro. A gennaio dello scorso anno erano finiti in carcere Antonio Agresti, 43 anni di Andria e Giuseppe Dinardi, 51 anni di Cologno Monzese, ritenuti i due ideatori del colpo. Il primo condannato a 20 anni con rito abbreviato lo scorso 23 dicembre, il coimputato rinviato a giudizio per il 26 marzo.

Nelle motivazioni della sentenza, il giudice dedica un passaggio ad argomentare il riscontro «in termini di quantomeno rilevante probabilità», secondo cui Dinardi avrebbe riferito a Massimiliano Milano – suo ex braccio destro, estraneo alla rapina e principale testimone nelle indagini – di avere dei basisti all’interno della Battistolli. Infatti, la consulenza tecnica, afferma che le porte dei furgoni da cui furono scaricate le casse di oro non presentavano deformazioni dovute a leve, i ganci antiscardinamento non presentavano deformazioni o effrazioni. Inoltre – prosegue la consulenza - non era possibile aprire la porta posteriore sinistra se prima non fosse stata aperta la destra, che viene trovata dagli inquirenti chiusa.

A questo si aggiunge il fatto che con il chiavistello inserito, non era possibile rimuovere la porta con il semplice taglio delle cerniere, e la serratura era perfettamente funzionante. Di conseguenza, dicono i tecnici incaricati di esaminare le modalità di apertura dei portelloni del furgone, «non è possibile ritenere che l’apertura della porta possa essere avvenuta mediante il taglio delle cerniere»: al contrario, viene ipotizzato che «avessero copia delle chiavi, e il taglio delle cerniere sia avvenuto solo in seguito, per depistare le indagini». 

Tuttavia, aggiunge il giudice, «le conclusioni dei consulenti a questo riguardo, sono state rese in termini di certezza non assoluta», ma sostenute dalle affermazioni del capo area del Gruppo Battistolli, secondo il quale era impossibile aprire il portellone semplicemente tagliandone le cerniere: «Le due portiere hanno due baionette che si azionano incastrandosi le une con le altre quando le porte sono chiuse a chiave, facendo tutt’uno con i catenacci verticali». Le motivazioni del giudice, così come le indagini, si fermano qui, non essendo stato possibile accertare se sia mai effettivamente esistito un basista all’interno della società Battistolli, in contatto con Dinardi.