2009-05-03
di ANNA MANGIAROTTI
— MILANO —
ENRICO MATTEI, l’italiano più potente dopo l’imperatore Augusto. Così, per la stampa estera, il fondatore dell’Eni e de Il Giorno. L’unico che valesse la pena intervistare nel nostro Paese a metà del secolo scorso. Lo interpreta, nella fiction «L’uomo che guardava al futuro» (oggi e domani, Rai Uno, ore 21.30) Massimo Ghini.
Inevitabile il confronto con Gian Maria Volontè, memorabile Mattei nel film di Rosi del ‘72. Lo teme?
«Mò, ce risemo. La tortura del confronto. “Il caso Mattei” era concentrato sulle ultime 24 ore e sul mistero della morte nel ‘62. Questa fiction svela l’umanità di un personaggio pubblico, la storia di un provinciale trentenne che arriva da Matelica a Milano in cerca di fortuna».
E cosa trova?
«L’amore. Nel ‘36, l’incontro con Greta, viennese, alta, bionda, occhi verdi, stupenda. Anzi, uno scontro. Lei è in bicicletta. Si urtano. Poi, lui va a vederla ballare in un teatro dove si faceva la rivista».
Sempre strano innamorarsi a Milano.
«La scena, quando le chiedo di sposarmi davanti a un tram d’epoca, è stata la più difficile. Mi sono sentito male. Dopo una settimana infernale di riprese tra i pozzi di petrolio, sono crollato davvero ai suoi piedi».
Matrimonio senza figli. Mattei ne soffre, si prende cotte da collegiale. Le raccontate?
«A quei tempi, si era molto più discreti. Lo siamo pure noi».
Il lavoro, d’accordo, è più importante. A Milano lo si trovava facilmente.
«La Lombarda Grassi e Saponi è la ditta che il ragionier Mattei, diploma preso in una scuola serale, riesce ad avviare. E dove matura la decisione di entrare nella Resistenza, quando vede morire un suo dipendente durante un’irruzione dei tedeschi».
Altri incontri fatali sul set milanese?
«All’Università, quello con il professor Marcello Boldrini. Uno dei fedelissimi. A lui, Mattei chiederà le chiavi dell’appartamento dove, anni dopo, nasconde il leader della Resistenza algerina. Al professore, che sospetta un appuntamento galante, viene un colpo quando vede uscire da un’auto Ben Bellah».
Boldrini però non volle mai sedersi sulla poltrona dell’Eni. Spiegò a un giornalista di non scrivere che tutti i bambini d’Italia possono diventare come Mattei. Lui è un’eccezione, una storia straordinaria.
«Me la sarei combattuta anche a duello. E ho accettato volentieri qualche sacrificio contrattuale».
Anche Il Giorno apparve come un giornale straordinario. Lo dice?
«Lo grido: non l’ho fondato per farmi gli affari miei, ma perché voglio un sistema d’informazione che faccia capire agli italiani cosa stiamo facendo per loro!».
Nient’altro sull’esperienza da editore?
«Le solite critiche alle perdite, l’enorme passivo...»
Peccato non ricordare che la Confindustria avesse chiesto ai soci di non dare pubblicità a Il Giorno...
«Invece, ricordiamo che Mattei, dirigente pubblico, mette i suoi beni personali a garanzia di un prestito per risollevare l’Agip».
Così comincia l’avventura de «L’uomo che guardava al futuro»?
«Sì, con la battuta che io considero la più memorabile: non m’interessa essere ricco in un Paese povero».
Il vero confronto, Ghini, è con la classe dirigente attuale. Lei ha esperienze anche in politica. C’è qualcuno capace di rifare Mattei nella realtà?
«Ma, de che stamo a parlà!».