L'Appennino è un bivio

Italia e l’Europa sono al bivio. La prima si gioca il suo futuro economico e sociale; la seconda si gioca la sua stessa esistenza

Milano, 29 agosto 2016 - Italia e l’Europa sono al bivio. La prima si gioca il suo futuro economico e sociale; la seconda si gioca la sua stessa esistenza. Tutto avviene d’un tratto come la sciagura che ha colpito le popolazione dei paesi arroccati sull’Appennino. Il tempo delle tergiversazioni è finito. A Bratislava si va al redde rationem dell’Europa, ben prima e in modo assai più incisivo di quanto ci aspettavamo dal referendum costituzionale. Il terremoto può affossare l’Italia o essere grande occasione di ripresa e questo vale per tutta l’Europa. Dal 24 agosto stiamo vivendo al miracolo. Gli italiani tutti hanno dato una lezione ai politici e questo sarebbe il meno. Ma il più è che i politici sembrano avere imparato la lezione, quasi tutti. È l’ora della tragedia e della volontà di reagire tutti assieme come dovrebbe essere in una grande comunità nazionale. Pochi discorsi fuori tono e poche parole sopra le righe. Ha prevalso il senso di solidarietà nazionale, su tutto e su tutti. Conta che duri, ma per questo è necessario che arrivi la risposta politica giusta, tempestiva e forte. Un immane disastro naturale può essere la tomba di un paese o l’occasione per la sua resurrezione.

Si pensi a Chernobyl e a Fukushima. La prima tragedia concorse a dare il colpo finale all’Unione Sovietica di Gorbaciov, incapace di uscire da un sistema economico e politico sclerotico e inefficiente. Fu la prova che il paese non aveva le energie e la volontà di reagire e implose. Nel secondo caso, la caparbietà e lo spirito solidale dei giapponesi hanno fatto del disastro della centrale nucleare colpita dal maremoto la leva per la fuoriuscita dalla grande crisi. Due paesi e due opposti esiti della crisi. Nessuno può restituire la vita a chi l’ha persa in modo tanto ingiusto e inaspettato. Ma la ricostruzione delle nazioni colpite è la grande occasione per quelle popolazioni martoriate e per l’Italia. Urge un grande piano di investimenti che affronti con misure adeguate di prevenzione tutte le aree a maggior rischio del paese. La mobilitazione di risorse per la messa in sicurezza dell’Italia può essere una leva potentissima di ripresa di un paese che si vuole finalmente unito. A Bratislava non si può discutere di qualche punto percentuale di deficit. Sul tavolo di questa strana Europa che si fa chiamare Unione e che è un tavolo di dialogo o di litigio di ventisette governi sta il futuro dell’Europa stessa. Se fossimo una vera Unione, il suo presidente sarebbe corso in visita delle popolazioni colpite, come Obama si precipita quando il Mississippi esonda.

Nessuno ha visto Juncker e nessuno si aspettava di vederlo. Prendiamone atto. Ma se l’Europa vuole andare avanti attorno a quel tavolo di Bratislava il 16 settembre, Renzi deve trovare interlocutori pronti ad ascoltare la voce della tragedia umana e civile e a rilanciare con un grande disegno di credito all’Italia. Le aperture di Berlusconi per l’unità del paese non debbono essere strumentalizzate. Lasciamo perdere i Nazareni. Il paese può risorgere a condizione che le forze responsabili concorrano a creare una nuova convergenza nazionale, con spirito costruttivo. Dentro il Pd, la nomina di Errani a commissario straordinario è un viatico di ricomposizione interna. Fuori della maggioranza, Parisi può cogliere l’ottima occasione per riproporre Forza Italia come partito responsabile nell’emergenza nazionale. È questo che gli italiani si aspettano, anche solo per tornare a votare.

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