Un partito invecchiato

Alla vigilia delle elezioni, il Partito democratico, che con la rivoluzione renziana avrebbe dovuto acquisire nuovo vigore, è in un’impasse

Milano, 9 dicembre 2017 - Alla vigilia delle elezioni, il Partito democratico, che con la rivoluzione renziana avrebbe dovuto acquisire nuovo vigore, è in un’impasse. Raccolse il 25 per cento nel 2013. Oggi i sondaggi gli attribuiscono la stessa forza. È meno capace di mobilitare, come mostra il crollo nella partecipazione all’elezione del segretario, e parla a una platea sempre più anziana. Certo, l’oligarchia che aveva tenuto a battesimo il Pd nel 2007, poi imbrigliandolo nel suo limitato orizzonte, è stata sconfitta. Ma il partito di Renzi è invecchiato anzitempo, incapace di rappresentare un’idea nuova di Paese. Renzi si era fatto strada grazie a giuste intuizioni. Ma si è fermato lì. Perché non ha dato loro sostanza, piegandole a un pragmatismo che si è perso nella tattica. Perché quelle intuizioni erano figlie del suo fiuto per il consenso e successivamente non è stato costruito nulla per sviluppare una visione di governo capace di guardare a un mondo che cambia, ma anche a coloro che più di altri pagano quei cambiamenti; né una vera classe dirigente, né luoghi di pensiero. Oggi Renzi conduce il Pd verso le elezioni riproponendo se stesso, con una coazione a ripetere che accompagna il declino suo e del partito. Ma di un grande partito della sinistra l’Italia ha bisogno. Se sarà possibile ricostruirlo, ciò richiederà fatica e tempo, e il problema non è solo italiano. Ma richiederà anche l’abbandono dei tatticismi finalizzati alla mera sopravvivenza di un leader e del suo Giglio. Non sarà sufficiente cambiare il vertice, ma quello attuale ha fallito e la comunicazione auto-elogiativa, slegata dal mondo reale, con la quale cerca di sopravvivere non riesce a celare questo fallimento. Il Pd è a un bivio, o un nuovo inizio o l’accelerazione del declino. La seconda ipotesi e la più probabile. E sarà un male per tutti.