Meglio il latte di nonna

A noi toccava un bicchiere di latte caldo. Per calmarci nonna riteneva non esistesse rimedio migliore

Milano, 21 gennaio 2018 - A noi toccava un bicchiere di latte caldo. Per calmarci nonna riteneva non esistesse rimedio migliore. A meno che non avessimo i vermi. In quel caso per sedare la vivacità nel latte veniva sciolto il mannitolo. Mamma passò alla camomilla e prese in considerazione le gocce di valeriana, che come il latte e la purga non servirono a niente. Più in là non si andò mai. La parola iperattivo non andava di moda. Ci chiamavano terremoti. A casa in città era tutto un movimento sussultorio placato solo da Sandokan e Padre Brown. Facevamo le olimpiadi delle pattine sui pavimenti incerati. Lo svallicamento dorsale del Fosbury sul divano. Il tuffo a bomba nella vasca. Sbriciolavamo vasi con un calcio di rigore fra la cucina e il Maracanà. Quando ci davano il largo ci spostavamo a stormi sui pattini a rotelle contaminando nascondino, guardia e ladri, palla avvelenata. Spaccavamo vetri e ginocchia, sfidavamo a occhi aperti la nebbia ghiacciata dei cortili e d’estate in campagna la pazienza dei contadini, del cuculo e delle streghe alle quali rubavamo le erbe magiche.

Eravamo distratti, disattenti, ingestibili e felici. La vita ci scappava da tutte le parti in quel mondo da sfidare a colpi di cerbottana e nessuno aveva la sindrome del prigioniero. Nessun adulto peraltro disse mai che imparando a stare fermi saremmo stati più sani. Persino oggi che esiste un rimedio per tutto i medici considerano un errore l’uso di tranquillanti. E però la camicia di forza trova consensi. Fra le idee matte quella del giubbotto pieno di sabbia per ancorare i bambini irrequieti le batte tutte. Questa forma di medicalizzazione brutale equipara la naturale smania dell’infanzia a un arto rotto, la vivacità a una colpa. Dimenticando che i bambini sono le lancette del tempo e battono il tempo degli adulti, nemmeno loro tanto tranquilli.