Milano, 28 marzo 2017 -
LETTERA
HO 32 ANNI e grazie all’Erasmus ho potuto conoscere l’Europa, a partire dalla Spagna. Durante gli anni universitari, ho avuto l’opportunità di frequentare per un anno l’Università di Madrid. Ho seguito lezioni e metodi di approccio disciplinare diversi da quelli della mia facoltà (ero iscritta a Lettere moderne) ho stretto importanti rapporti di amicizia. Oggi insegno e noto nei miei studenti una sorta di paura dell’Europa, insieme anche a una forma di diffidenza ostile. Non credo che siano consapevoli dell’occasione che potrebbero perdere scegliendo di rinchiudersi negli stretti confini nazionali . Maria Pia, Milano
RISPOSTA
LA SUA LETTERA APRE una riflessione sul significato più importante che Erasmus rappresenta per i giovani europei: opportunità di conoscenza e di nuovi legami. Non mi pare opportuna l’espressione “generazione Erasmus” perché riduce ad un’etichetta generazionale un progetto che ha teso a formare un’integrazione profonda, e direi di sistema, fra i cittadini dell’Europa. Certo il presente è più complicato e lo rivelano le paure dei suoi alunni, intimoriti e quasi schiacciati da un contesto che parla poco dei vantaggi dell’Europa, molto dei suoi mali. La realtà contingente non sembra adeguata a creare le condizioni per uno slancio europeista dei più giovani, tuttavia anche se certe condizioni sono cambiate, le opportunità non vanno perse. Opportunità che, poco tempo prima di lei, gli studenti italiani non avevano, faticando anche a soggiornare per un mese nei Paesi del nostro continente. Erasmus, nato dalla ferma volontà di costruire una mobilità per gli studenti su basi premiali, è un progetto di Sofia Corradi, pedagogista italiana. Una delle figure la cui visione delle cose non si fermava al “qui e ora”. sandro.neri@ilgiorno.net