Papà giustiziere, pena definitiva. Uccise un innocente per vendetta

Pensava fosse il pusher della figlia morta di overdose, ora è in carcere di Beatrice Raspa

Francesca Manca morì a 29 anni per una overdose di cocaina Si riforniva in un campo rom, il padre lo sapeva perché l’aveva seguita più volte sperando di poterla salvare

Francesca Manca morì a 29 anni per una overdose di cocaina Si riforniva in un campo rom, il padre lo sapeva perché l’aveva seguita più volte sperando di poterla salvare

Brescia, 4 maggio 2015 - Aveva sparato per vendicare la morte per overdose della figlia, stroncata a 29 anni dalla cocaina, uccidendo un diciottenne che non c’entrava nulla con lo spaccio. Luciano Manca sapeva che la sua Francesca si riforniva in quel campo nomadi a Calcinatello. L’aveva seguita. Così, oppresso da una tragedia che da un mese gli toglieva il sonno e l’appetito, la sera del 26 ottobre 2011 aveva imbracciato uno dei suoi dieci fucili da caccia, raggiunto in fuoristrada la roulotte da cui una volta aveva visto uscire la ragazza e aveva fatto fuoco contro una vetrata. Dietro la finestra c’era seduto a tavola con i parenti Ionut Iamandita, romeno neomaggiorenne che due giorni dopo sarebbe diventato padre di una bimba. Per l’omicidio il «papà giustiziere» è stato condannato a dieci anni e adesso la sentenza è diventata definitiva.

La Cassazione nei giorni scorsi ha confermato il verdetto emesso dalla corte d’assise d’appello di Brescia il 25 ottobre 2013, che pure avevano concesso un piccolo sconto di pena rispetto ai 12 anni inflitti in primo grado. I giudici della corte suprema hanno rigettato il ricorso dell’avvocato Angelo Villini, favorevole all’annullamento del dispositivo e a un nuovo processo per valutare l’attenuante dello stato d’ira. Una circostanza, questa della provocazione, sollevata anche dalla procura generale, che tuttavia non ha trovato riscontri. «Volevo solo spaventare, non uccidere – si era giustificato l’operaio, 53 anni, con i carabinieri -. Volevo soltanto che una buona volta quelli la finissero di spacciare». Originario di Gesico (Cagliari) ma residente con la famiglia a Montichiari, Luciano Manca era stato incastrato una settimana dopo il delitto. Nel campo nomadi, accanto alla baracca in cui Iamandita aveva trovato la morte impallinato per sbaglio, era rimasta una cartuccia calibro 12 di un fucile a pallettoni uguale in tutto e per tutto a quelli custoditi a casa sua.

Inoltre, scoperta la figlia accasciata senza vita in auto alla Fascia d’oro di Montichiari, era corso dai carabinieri per denunciare i rom del campo di Calcinatello. Prima la denuncia, e poi il rinvenimento della cartuccia avevano dunque permesso agli investigatori di completare il quadro, arrestare Manca e registrarne la piena confessione. Quanto alla droga, a distanza di tempo nella baracca del campo di via Campagna è poi stata effettivamente trovata, ma a finire in manette è poi stata una parente della vittima. La famiglia Iamandita aveva chiesto una condanna esemplare «perché ha ucciso una persona innocente, che si trovava solo nel posto sbagliato». Grande era stata la rabbia e la delusione al termine del processo di primo grado. I famigliari avevano dato in escandescenze e costretto imputato e difensore a lasciare il palazzo scortati. Preso dopo una settimana e dopo la confessione, l’uomo è finito in carcere e non ne è mai uscito e si trova ora nel penitenziario di Canton Mombello, nel Bresciano.