Brescia, 27 agosto 2012 - Massimo Dighe è nato a Iseo, nel 2007 ha iniziato a far vela e da quel momento non ha più smesso. Insieme a Antonio Squizzato e Paola Protopapa compone l'equipaggio Paralimpico del Sonar. Massimo ricopre il ruolo di centrale-tattico e va a Londra coronando un sogno che è costato fatica, rinuncie e tanto lavoro

Perchè la scelta di arrivare in Gran Bretagna una settimana prima delle regate?

«Le condizioni climatiche di Weymouth (circa due ore mezzo a sud di Londra N.d.R) sono molto diverse da quelle italiane. Arriviamo prima per adattarci all'estate d'oltremanica. Là in questo momento ci sono 15 gradi...»

Come si è preparato a queste Paralimpiadi?

«Dal 2010 tutti i mesi mi sono recato là per adattarmi al clima. Poi tantissime regate. Negli ultimi due mesi abbiamo lavorato intensamente alternando una settimana di allenamento a due soli giorni di pausa. Poi ci siamo confrontati anche con i normodotati»

Quali sono le aspettative ai suoi primi Giochi?

«Mi alleno con gli altri componenti dell'equipaggio dal 2011. Abbiamo un nuovo timoniere (Antonio Squizzato). Nella nostra categoria i velisti si dividono in due gruppi. Il primo lotta per la medaglia, noi facciamo parte dell'altro gruppo. Ma l'Olimpiade si sa, è una gara a sè e magari facciamo il colpaccio...»

Nei suoi programmi c'è anche Rio?

«Non lo so, ora sono focalizzato su Londra. Ho passato gli ultimi tre anni via spesso da casa. Mi vivrò a pieno questi Giochi... poi si vedrà»

Che sensazioni prova quando naviga?

«È molto bello. Mi fa stare bene. La vela insegna ad adattarsi. Facciamo regate stando magari anche 5-6 ore in acqua e questo comporta una grande resistenza e prontezza nel superare gli imprevisti»

Si sente un esempio?

«Un esempio... non so. Di sicuro facciamo vedere che ce la si può fare. Noi siamo caratterialmente preparati ad affrontare le difficoltà. Londra è un'occasione per mostrare che volendo nella vita si può fare tutto, che si viva in carrozzina o che si abbiano subito delle amputazioni. Credo che non ci sia più un'enorme distinzione tra normodotati e disabili»