Volontari uccisi in Bosnia, il comandante Paraga: "Inutile cercare mio cugino"

Hanefija Prijic si è limitato a dire: "Non sono il mandante della strage ed è inutile cercare mio cugino "Dino". Non lo troveranno mai"

Hanefija Prijic detto Paraga all'aeroporto di Linate a Milano

Hanefija Prijic detto Paraga all'aeroporto di Linate a Milano

Brescia, 28 luglio 2016 - «È inutile che si mettano a cercarlo. Non lo troveranno mai». Così Hanefija Prijic, il comandante "Paraga", il 52enne bosniaco accusato di avere ordinato la strage di Gorni Vakuf in cui il 29 maggio 1993 in Bosnia vennero uccisi i volontari bresciani Guido Puletti e Sergio Lana e il cremonese Fabio Moreni ha ammesso al suo avvocato Chantal Frigerio parlando del cugino Sabahudin Prijic, nome di battaglia «Dino». Per i magistrati bosniaci del tribunale di Travnik che hanno aperto un nuovo procedimento penale sulla strage (cinque le persone indagate) «Dino» sarebbe uno dei due autori materiali della barbara esecuzione a cui scamparono altri due volontari bresciani, Cristian Penocchio e Agostino Zanotti.

I due riuscirono a fuggire nei boschi della Bosnia centrale e a mettersi in salvo dopo avere raggiunto la sede dei caschi blu scozzesi dell’Onu a Bugojno. Lo scorso 3 luglio a Brescia proprio a Penocchio e Zanotti il gip Elena Stefana su rogatoria del collega bosniaco del tribunale di Travnik ha mostrato alcune foto e in una di queste entrambi hanno riconosciuto «Dino» come una delle persone che il 29 maggio di 23 anni fa fece fuoco. Sabahudin «Dino» Prijic sembrerebbe però sparito nel nulla. C’è chi ritiene che viva in Canada e chi invece è convinto della sua morte.

«Non sono io il mandante della strage. Dino ha sparato ma cercarlo è inutile, non lo troveranno mai», si è limitato a commentare al suo legale il comandante Paraga che dallo scorso febbraio è in carcere a Brescia dopo essere stato estradato dalla Germania, paese in cui a novembre è stato fermato su mandato internazionale richiesto dall’Italia. Paraga per quella strage nel 2001 è stato condannato in Bosnia a 15 anni di carcere, poi ridotti in appello a 13, e ora è accusato dai magistrati bresciani di omicidio politico. Le indagini del pm Silvia Bonardi sono in dirittura di arrivo. I tempi stringono. Entro la fine del prossimo ottobre infatti il processo bresciano nei confronti di Paraga dovrà essere incardinato. Se questo non accadesse andrebbero a scadere i termini per la custodia in carcere del 52enne bosniaco che tornerebbe libero. Sulla vicenda pesa poi il principio del ne bis in idem che impedisce di processare una seconda volta l’imputato già condannato per lo stesso reato. Sebbene non esistano accordi tra Italia e Bosnia sull’argomento e nonostante il reato di omicidio politico possa essere «immune» dal principio, la possibilità che la questione emerga nel corso di una eventuale udienza preliminare è tutt’altro che remota.