Giallo di Marcheno: "Quella sera il forno fu riavviato. Colpa di una fiammata anomala"

Brescia, i racconti degli operai. Operaio morto, giallo delle bottigliette e del telefonino. Quello usato per l'ultima telefonata non si è più trovato di GABRIELE MORONI e BEATRICE RASPA LA SCHEDA / Tutte le tappe del giallo

Inquirenti sul luogo del ritrovamento del cadavere di Giuseppe Ghirardini

Inquirenti sul luogo del ritrovamento del cadavere di Giuseppe Ghirardini

Marcheno, 21 ottobre 2015 - Due scene. Una in fabbrica: una sbuffata anomala nel forno di Marcheno. «La sera della scompasa di Mario Bozzoli l’impianto fu riavviato a causa di una fiammata anomala», ha fatto mettere a verbale un operaio. L’altra in montagna: due bottigliette, entrambe vuote. È forse nascosta in questi contenitori di plastica la chiave della morte di Giuseppe Ghiradini, l’operaio della fonderia e raffineria Bozzoli di Marcheno, in Valtrompia. Ghirardini è una delle due facce del giallo bresciano. Scomparso mercoledì mattina, è stato ritrovato cadavere nel primo pomeriggio di domenica, in un bosco a 1.700 metri di altezza, sopra Ponte di Legno. Il suo datore di lavoro, Mario Bozzoli, contitolare dell’azienda insieme con il fratello maggiore Adelio, è scomparso nella serata dell’8 ottobre. E proprio quella sera, appunto, si sarebbe registrata la fiammata anomala, sulla cui esistenza ora gli investigatori vanno cercando conferme tecniche e testimoniali.

Nessun segno di violenza, invece, sul corpo di Ghirardini, nessuna traccia di aggressione. Ma è prematuro concludere che sia morto per cause naturali. Ecco perché saranno decisivi i test scientifici sulle bottigliette. Una, in una tasca del giubbone, conteneva integratori. L’altra era una bottiglietta d’acqua da mezzo litro, trovata accanto al cadavere. Il corpo era congelato. La morte risale, verosimilmente, alla notte fra mercoledì e giovedì. Già nel pomeriggio di mercoledì un valligiano aveva notato l’auto dell’operaio, una Suzuki Vitara, nel posto dove è stata ritrovata, alla località Tarass, alla Tonalina. Giuseppe Ghirardini non voleva cacciare, né cercare funghi, un altro dei passatempi preferiti. Voleva camminare, vagare. Voleva forse morire. Aveva lasciato nell’auto, con le portiere rigorosamente chiuse, il portafoglio e gli abiti che indossava abitualmente per la caccia alle lepre. È stato ritrovato con le braccia che sembravano avvinghiarsi a un albero, come per un estremo tentativo di risollevarsi. Indossava un incerato verde militare, mentre il berretto era finito a una decina di metri. Portava gli stivaloni acquistati una settimana prima alla fiera di Montichiari. Accanto al cadavere un telo rettangolare del tipo di quelli usati dai bracconieri per gli appostamenti. Un enigma ruota attorno al telefonino del morto. Ghirardini possedeva un cellulare e un altro apparecchio, che era rimasto nella sua abitazione, alla frazione Aleno di Marcheno. Quello che si era portato uscendo di casa è invece scomparso. Alle 14.30 di mercoledì Ghirardini ha ricevuto su questo cellulare la telefonata della sorella Ernestina che chiedeva dove si trovasse. Una telefonata agganciata dalla cella di Borno, compatibile con la zona dove è stato rinvenuto. Le indagini sulla sparizione di Bozzoli stringono sulla fabbrica, messa sotto sequestro una settimana fa. Il fratello ha chiesto che vengano tolti i sigilli dagli uffici. Nella mattinata sopralluogo nell’azienda del procuratore di Brescia, Tommaso Bonanno. «Abbiamo – ha detto il magistrato – del materiale che stiamo esaminando e che sarà oggetto di approfondimenti di carattere tecnico e scientifico. La professoressa Cristina Cattaneo ha l’incarico di verificare se ci sono elementi riconducibili a Bozzoli». Quello della fabbrica è uno scenario complesso? «Se si intende che si fa fatica a cercare un corpo, rispondo di no. Dagli elementi che abbiamo acquisito non risulta che Bozzoli sia uscito dalla fabbrica». Il mistero ruota attorno ai due forni della fabbrica, alla fiammata anomala, agli scarti di lavorazione raccolti in trecento sacchi, anche ai prodotti finiti. Sono stati condotti all’interno della Bozzoli srl anche due cani dei carabinieri addestrati per la ricerca di cadaveri. Patrizia Scalvi, legale della moglie e dei due figli di Mario Bozzoli, ha nominato come consulente Giovina Marina La Vecchia, ordinario di metallurgia all’università di Brescia. L’avvocato ha poi confermato come tra Mario e il fratello più grande, Adelio, contitolare dell’azienda di famiglia, non ci sarebbero stati rapporti ‘sereni’