Marcheno, il rebus del cellulare: suonava il giorno dopo la scomparsa dell'imprenditore

Si cercano prove del delitto: lo spogliatoio ha reagito al luminol di Beatrice Raspa e Gabriele Moroni

L'avvocato Patrizia Scalvi con il consulente Zeno Di Battisti

L'avvocato Patrizia Scalvi con il consulente Zeno Di Battisti

Marcheno, 15 ottobre 2015 - Mario Bozzoli è scomparso nel nulla attorno alle 19 di giovedì, ma alle tre del pomeriggio del giorno dopo il suo cellulare era ancora attivo e raggiungibile, anche se squillava a vuoto. Una tessera che, a distanza di una settimana, aggiunge nuovi interrogativi al mistero grande dell’imprenditore di Marcheno. A chiamare Bozzoli verso le 15 di quel giorno, è la titolare di una impresa di pulizie che vuole accordarsi per il lavoro, nella fabbrica di via Gitti e nell’abitazione della famiglia. Il telefono dell’industriale squilla senza risposta. La donna decide allora di mettersi in comunicazione con la moglie dell’imprenditore, Irene, che in un primo tempo tronca la chiamata salvo poi richiamarla subito dopo per invitarla a raggiungerla a casa. Lì la donna apprende dalla signora Bozzoli che il marito pare essersi smaterializzato la sera prima, un fatto che a quel momento è conosciuto soltanto dai familiari e dai carabinieri. Il telefonino di Mario Bozzoli avrebbe quindi smesso di rilasciare qualsiasi segnale (come se qualcuno lo avesse distrutto) non in contemporanea con la sparizione del suo proprietario, come si pensava finora, ma diverse ore più tardi. La convinzione dell’omicidio prende sempre più corpo negli ambienti investigativi, insieme con quella che tutto sia avvenuto entro il perimetro dello stabilimento, messo sotto sequestro nella serata di martedì. Si cerca il luogo di una possibile aggressione e l’attenzione pare essere puntata sullo spogliatoio. Secondo qualche sussurro, l’ambiente ha reagito al Luminol sia nel corso della prima ispezione compiuta dal Ris sia martedì notte quando gli esperti di Parma si sono ripresentati insieme con i carabinieri del Servizio investigazioni scientifiche. Il particolare potrebbe essere significativo come risultare ininfluente. La fonderia e raffineria Bozzoli srl produce lingotti di ottone. L’ottone è una lega di zinco e rame. Scontato, quindi, che abbondino i residui di rame, un metallo che è un reagente del Luminol. Questo potrebbe falsare i risultati. Sullo spogliatorio rimane comunque puntata l’attenzione degli investigatori.

Nessuna conferma alla notizia uscita nella mattinata, in un rimpallo fra televisioni, che uno dei cani molecolari si sia fermato, abbaiando a lungo, davanti a uno dei forni. Se il corpo di Bozzoli fosse stato gettato in uno dei due forni funzionanti (il terzo è inattivo) sarebbe arso a una temperatura di 800 gradi che avrebbe preservato solo la dentatura. Per questo sono stati controllati i forni, dove la temperatura è stata ridotta a 300 gradi, così come sono stati passati al setaccio i trecento sacchi con gli scarti di lavorazione. Nella loro lunga ispezione notturna Ris e Sis hanno concentrato la loro attenzione su un capannone, all’ingresso dell’azienda, dove si trovano accatastati cumuli di polvere e pietrisco. Devono essere ancora controllati i filtri del sistema di abbattimento dei fumi. I carabinieri hanno acquisito le immagini di tutte le telecamere nella zona, hanno ascoltato le persone più vicine allo scomparso e controllate le auto. La prefettura di Brescia ha deciso di prolungare di altre 24 ore le ricerche nella zona. La moglie e i due figli di Bozzoli, Claudio e Giuseppe, hanno nominato l’avvocato Patrizia Scalvi. Il legale ha chiesto l’assistenza del medico legale veronese Zeno De Battisti e potrebbe designare anche un genetista forense.