Mercoledì 24 Aprile 2024

"Green Hill, tutto era in regola". Quarta udienza del processo, parola a consulenti e imputati

Processo Green Hill, a tenere banco in aula sono stati i consulenti della difesa e i 4 imputati. Tutti concordi nel ribadire che nell’allevamento di Montichiari si rispettava la legge per gli animali destinati alla sperimentazione, non si perpetravano maltrattamenti né animalicidi di Beatrice Raspa

Uno dei beagle liberati da Green Hill

Uno dei beagle liberati da Green Hill

Brescia, 19 novembre 2014 - Processo Green Hill, ieri a tenere banco in aula sono stati i consulenti della difesa e i 4 imputati. Tutti concordi nel ribadire che nell’allevamento di Montichiari si rispettava la legge per gli animali destinati alla sperimentazione, non si perpetravano maltrattamenti né animalicidi. Bernard Gotti, consulente della Marshall per la gestione qualità, ha spiegato di essere stato sul colle di San Zeno solo nel 2010 per l’ottenimento della certificazione ISO. «Per 20 anni mi sono occupato di benessere degli animali destinati alla sperimentazione – ha spiegato il primo imputato leggendo una dichiarazione spontanea - A Green Hill ho steso una carta etica. Avessi sospettato azioni contrarie avrei rescisso il contratto».

Roberto Bravi, direttore del canile solo per sei mesi, si è detto «stupito» per le accuse e ha sottolineato «l’alta preparazione dei tecnici e della dirigenza». Renato Graziosi, veterinario di Green Hill dal 2008 al sequestro, ha raccontato che viveva in una casa attigua al canile messa a disposizione dell’azienda per garantire il buono stato di salute dei beagle e controlli anche notturni. In tre anni secondo i database aziendali sarebbero state eseguite solo 66 eutanasie su 10mila esemplari.

Soppressioni effettuate «sempre in coscienza, con il criterio di limitare l’agonia in caso di patologie per le quali il decesso sarebbe subentrato a breve». Marshall, a detta degli imputati, si occupava anche del collocamento dei cani invendibili perché anziani o con “difetti”. «Green Hill li cedeva ad associazioni animaliste all’estero, con sede in Germania o in Francia, poi incaricate di cederli a privati», ha affermato Graziosi. A spiegare perché le cessioni non avvenissero in Italia, ma in luoghi così lontani è stata l’amministratrice Ghislane Rondot: «In alcuni Paesi c’è una stretta collaborazione tra associazioni animaliste e quelle che si dedicano alla ricerca scientifica», ha chiarito la manager. Eppure i cani inutilizzabili finivano pure alla B&K, una filiale inglese della Marshall, ha incalzato il pm Ambrogio Cassiani. «La B&K recuperava gli invendibili commercializzando prodotti derivati dal sangue», ha giustificato Rondot.