Green Hill, poveri beagle: "Soppressioni arbitrarie"

Per il giudice vertici ben consapevoli di quanto accadeva di Beatrice Raspa

Un’attivista al termine del processo

Un’attivista al termine del processo

Brescia, 25 marzo 2015 - I vertici di Green Hill erano «ben consapevoli» di quel che avveniva nel canile di Montichiari. In 64 pagine il giudice Roberto Gurini ha spiegato le ragioni delle condanne per maltrattamenti e animalicidio inflitte il 23 gennaio scorso alla responsabile legale Ghisaline Rondot, al veterinario Renzo Graziosi e al direttore Roberto Bravi (un anno e mezzo ai primi due, un anno al terzo). Il tribunale ha sposato in toto la ricostruzione del pm Ambrogio Cassiani, che ha fornito prove «financo sovrabbondanti». «Inattendibile» e «non convincente» al contrario la linea difensiva. Per Gurini a Green Hill non sono state rispettate le prescrizioni del decreto legislativo 116/92 volte a tutelare la soglia minima di benessere degli animali da laboratorio.

«Le cure per i beagle erano inadeguate, non tempestive, inefficaci e di breve durata» scrive il giudice, le condizioni ambientali - con temperature troppo elevate, spazi promiscui, assenza di aree esterne di sgambamento - «negative» e «conseguenza di precise scelte aziendali». Le soppressioni di cani affetti di malattie curabili appariva logica: «I beagle erano allevati secondo un protocollo che doveva garantire a costi accettabili condizioni di idoneità per la sperimentazione. In caso di patologie da curare (…) il cane era considerato un inutile aggravio a cui conseguiva la soppressione».

Così come il sistema di identificazione con tatuaggio e non già con microchip era pratica «arbitraria», giustificata solo dalla comodità di lettura dei codici da parte degli operatori. E ancora, quanto ai numerosi controlli dell’Asl, dell’Istituto zooprofilattico e persino del Ministero da cui l’allevamento prima del sequestro del 2012 era risultato sempre in regola, si sarebbe trattato di verifiche «sommarie, superficiali, eseguite con preavviso» con i controllori che tradivano «rapporti di insolita vicinanza alla società». Per l’avvocato Carla Campanaro (Lav), la sentenza è innovativa: «Il maltrattamento inteso come deprivazione dell’etologia animale è penalmente rilevante anche in settori considerati intoccabili come quello della vivisezione».