Brescia, estorsioni e usura all’ombra della ’ndrangheta

Quindici arrestati e 33 indagati per reati tributari e violenza di Beatrice Raspa

Il materiale sequestrato

Il materiale sequestrato

Brescia, 25 settembre 2014 - Un gruppo di calabresi naturalizzati tra l’Ovest bresciano e la provincia di Bergamo, che hanno fatto soldi a palate nel settore dell’edilizia. Il boss di Taurianova Beppe Zappia, fornitore di armi alla bisogna per esercitare azioni intimidatorie. La direttrice di un ufficio postale in città e un funzionario di una filiale della Banca veneta compiacenti, pronti a chiudere gli occhi sulle norme antiriciclaggio per procurare liquidità. Un finanziere della Dia (Direzione investigativa antimafia) di Milano pizzicato a fare le soffiate prima dei controlli. E poi la cellula dedita al “lavoro sporco”, usare mani e armi nei confronti degli imprenditori che non saldavano i debiti.

Sono alcuni dei protagonisti dell’operazione «Principe», 33 indagati (tra cui i funzionari delle Poste, della Banca Veneta e della Dia), 15 persone in manette (8 in cella, 7 ai domiciliari) e beni sequestrati per 5 milioni e mezzo, in Italia e all’estero, tra cui ville con piscina, diamanti, Porsche e Suv. L’inchiesta, condotta dal Gico della finanza e dai carabinieri e coordinata dall’aggiunto Fabio Salamone e dal pm Silvia Bonardi, è frutto di due attività distinte, avviate a fine 2012 separatamente e poi confluite ad aprile 2013 in occasione di due misteriosi colpi di pistola esplosi nella vetrina della pizzeria “Guerino” di Palazzolo sull’Oglio. Gli accertamenti hanno messo in evidenza il ruolo di spicco di Antonio Luppino, 46enne di Taurianova (Rc) di casa ad Erbusco, Franciacorta (già ai domiciliari per usura), del cognato Vladimiro Tiraboschi, 47enne residente a Roccafranca e del commercialista Maurizio Musso, 47 anni, un ex dipendente dell’agenzia delle entrate. I tre sarebbero i registi di un’organizzazione in contatto con ambienti mafiosi dedita alla gestione di una galassia di aziende edili intestate a prestanome.

Evadendo sistematicamente le tasse e truffando l’Inps e lo Stato con il meccanismo dei crediti inesistenti e delle false compensazioni dei contributi previdenziali, gli ammistratori di fatto avrebbero fatto fortuna. A riprova, un tenore di vita da nababbi, con case in Costa Azzurra, Suv, diamanti, contanti a profusione. Per gli inquirenti il gruppo disponeva di una liquidità costante che poi investiva praticando strozzinaggio con tassi del 20% mensile ai danni degli imprenditori del settore, nei cui confronti non venivano risparmiate azioni violente. Oppure costituivano società immobiliari. Di qui la sfilza di contestazioni, a vario titolo associazione a delinquere finalizzata ai reati tributari, truffa, usura, estorsione, ricettazione, riciclaggio e porto abusivo di armi.