Strage Cottarelli, Cassazione annulla ergastolo per i fratelli Marino

All'epoca in una villetta nel quartiere cittadino di Urago Mella vennero trovati senza vita, uccisi a colpi di pistola, Angelo Cottarelli, la compagna Marzena Topor e il loro unico figlio Luca, di 17 anni

Strage Cottarelli, la famiglia uccisa a Urago Mella

Strage Cottarelli, la famiglia uccisa a Urago Mella

Brescia, 1 ottobre 2014 - È arrivato a notte inoltrata il verdetto della Cassazione bis per la strage di Angelo Cottarelli, della moglie Marzenne e del figlio Luca di appena 17 anni sgozzati e finiti con un colpo di pistola nella taverna della villetta in via Zuaboni il 28 agosto 2006 – che, stando alla Corte d’assise d’appello di Milano, porta la firma di Vito e Salvatore Marino. Una vicenda per la quale i cugini trapanesi sono al quinto giudizio. E dovranno affrontarne un altro: la Cassazione ha infatti annullato l’ergastolo loro inflitto e ha rinviato a un nuovo processo d’appello, da celebrarsi ancora una volta a Milano.

Assolti in primo grado nel 2008, i siciliani nel 2010 erano stati condannati all’ergastolo dalla Corte d’assise d’appello di Brescia. La Cassazione nel 2011 aveva annullato la sentenza disponendo un appello bis, stavolta a Milano, al termine del quale i giudici si erano nuovamente pronunciati per il carcere a vita. «Chi brandiva la pistola calibro 22 contro Cottarelli o uno dei congiunti al fine di arrecare il massimo spavento possibile ha inavvertitamente fatto partire un colpo e ciò ha imposto un’esecuzione collettiva» era stata la ricostruzione dei magistrati, che indicavano quali responsabili i Marino e disponevano l’arresto.

All’origine dell’eccidio, gli affari loschi che legavano l’imprenditore Cottarelli, esperto in fatture false, e i cugini di Paceco, titolari di un’azienda di vini in Sicilia al centro di un giro di finanziamenti europei e regionali ottenuti indebitamente. Quel giorno d’estate del 2006 i siciliani sarebbero venuti a Brescia perché reclamavano 300mila euro. A farli arrestare fu il faccendiere Dino Grusovin, che raccontò di essere stato con loro nella villa ma di non aver visto nulla: «Ero legato a un tavolo in cucina» disse.

di Beatrice Raspa