Sesso proibito in carcere, si discute. Il criminologo: all’estero è concesso

La garante dei detenuti: a Verziano non è la regola. Qui progetti importanti

Carlo Alberto  Romano, docente di criminologia

Carlo Alberto Romano, docente di criminologia

presunti rapporti sessuali, fuori e dentro il carcere di Verziano, in provincia di Brescia, tra due agenti donne e detenuti del reparto sia maschile sia femminile sono al centro di un’inchiesta della Procura. L’impianto del carcere ha filmato gli imcontri. Due le agenti che avrebbero avuto rapporti sessuali: una ha chiesto e ottenuto il trasferimento a Bollate, mentre la seconda è in attualmente in malattia. «Auspichiamo che la Procura della Repubblica di Brescia effettui le indagini in breve tempo facendo luce sulla vicenda» recita la nota del responsabile Cgil Lombardia della Polizia Penitenziaria Calogero Lo Presti. 

Brescia, 22 settembre 2016 - C'è la pena, sacrosanta da scontare per chi è riconosciuto colpevole. E poi ci sono gli “effetti collaterali”, legati alla detenzione, tra cui il distacco dagli affetti, coniugi, figli, genitori. Un tema che, nell’immaginario comune, non è neanche considerato perché, tutto sommato, chi è in carcere qualcosa lo ha fatto. Chi conosce bene, però, questo mondo sa che l’isolamento e la mancanza di radici fuori dal carcere porta, una volta usciti, a delinquere nuovamente. La vicenda del carcere di Verziano di Brescia, con le storie di incontri a luci rosse tra due agenti penitenziarie e altrettanti carcerati, pur con i suoi risvolti su cui si esprimerà la giustizia, va probabilmente inquadrato in questo orizzonte più ampio. «Oggettivamente il tema della sessualità in carcere è sempre visto con molto imbarazzo. Nell’immaginario collettivo si pensa che la pena debba comprendere anche la rinuncia all’affettività, che, al contrario, non è prevista dal codice».

A sostenerlo è Carlo Alberto Romano, professore di criminologia all’Università di Brescia e storico presidente dell’associazione Carcere e territorio. «All’interno degli istituti - sottolinea - sopratutto dove ci sono uomini e donne ci si organizza perché non si verifichino episodi di difficile gestione morale, ma è una previsione più di tipo disciplinare che normativo». Altrove, all’estero, ai detenuti è concessa un po’ di intimità con il coniuge. «Ci devono essere determinate condizioni - spiega Romano - ma dal punto di vista delle strutture non servono grandi cose». A Brescia, come in tutta Italia, non si è mai tentata questa strada e servirebbe una sperimentazione e la volontà del Ministero. «I vantaggi sono anche per la società - sottolinea Romano - perché consentire ai detenuti di mantenere dei rapporti stabili con la famiglia, evita che, una volta usciti, si ritrovino soli e senza legami, riducendo così la recidiva». Quanto ai rapporti tra agenti della polizia penitenziaria e detenuti, che possono nascere come in qualunque luogo di lavoro, la decisione di evitare questo tipo di legame per regolamento attiene alla sfera della sicurezza.

«Mi spiacerebbe - sottolinea Luisa Ravagnani, garante dei detenuti di Brescia - che il carcere apparisse come luogo dove accadono cose non positive. Sui fatti di Verziano ci saranno gli accertamenti del caso, ma non sarebbe giusto generalizzare: non si può dire che quella è la regola. Il carcere non deve esser visto come contenitore di rifiuti umani». In questi anni a Verziano sono stati attivati numerosi progetti, dai contratti con aziende per avviare i detenuti al lavoro a iniziative sportive, culturali, sociali, con l’obiettivo proprio di dare una funzione rieducativa agli anni di detenzione. Non da ultimo, pochi mesi fa è stato inaugurato un parchetto con dei giochi per i figli dei detenuti, che possono vivere l’incontro col genitore in carcere in modo più spensierato. «Sono tutte attività - aggiunge Ravagnani - che non avrebbe senso bloccare alla luce di quanto avvenuto».