Brescia, la pesca scomparsa: "Coltivare non rende"

In 30 anni a Brescia si sono dimezzati le coltivazioni di pescheti. Secondo i dati forniti da Confagricoltura, nel 1987 erano addirittura 730 gli ettari coltivati. Oggi sono 306

L'agricoltore Marco Macchini raccoglie le pesche

L'agricoltore Marco Macchini raccoglie le pesche

Brescia (21 luglio 2017 ) - Fiori di pesco addio: in 30 anni a Brescia si sono dimezzati le coltivazioni di pescheti. Secondo i dati forniti da Confagricoltura, nel 1987 erano addirittura 730 gli ettari dedicati a questa coltura, di cui molti tra Brescia ed hinterland. Di quei fasti resta l’eco ancora in appuntamenti come la Festa delle pesche a Collebeato. Da festeggiare, però, rischia di restare ben poco. Negli anni la progressione è stata tutt’altro che positiva: nel 2000 gli ettari erano 575, nel 2005 538, nel 2014 siamo scesi drasticamente a 306 ettari, diventati 318 nel 2015.

Parliamo di circa il 50% in meno da fine Anni ‘80 a oggi. Effetti collaterali della modernità, che cambia il paesaggio periurbano sulla scorta di un’economia che si trasforma e che rende poco conveniente produrre la «regina dell’estate». Secondo le rilevazioni del ministero dell’Agricoltura, quest’anno a giugno il prezzo medio delle pesche, all’agricoltore, è calato del 28% rispetto a giugno del 2016; per le nettarine siamo quasi al 32% in meno. Ciò vuol dire minore remunerazione per i produttori che fanno fatica a coprire i costi: uno scenario che di per sé basta a capire perché c’è chi preferisce chiuder bottega.

Sono attività che vanno a concludersi perché le nuove generazioni si impegnano su altri fronti», commenta il titolare Mario dell’azienda agricola Santini, fondata a Brescia nel 1921 da Giuseppe Santini, specializzata in coltivazione di pesche. «Del resto il lavoro è tantissimo, i costi sono alti e, a differenza di altre attività, hai un prodotto deperibile, che devi vendere in tempi brevi». La concorrenza non aiuta: le pesche arrivano sui banchi del supermercato in ogni stagione, con la conseguenza che i consumatori sono ormai disabituati a riconoscere ed apprezzare il gusto delle varietà autoctone.

Chi va avanti lo fa soprattutto per passione. Il lavoro nell’azienda agricola inizia alle 5,30. Si parte ad ottobre per preparare le piante, che poi daranno i loro frutti in estate. «Il problema non è la fatica, ma l’incertezza dei risultati, la burocrazia che è sempre più complicata, i costi di gestione che sono altissimi. Si va avanti per passione e perché c’è la forza della famiglia. E’ comprensibile, però, che i giovani scelgano altre strade».