Giallo di Marcheno, la droga dello stupro poi il veleno: "Così è stato ucciso Giuseppe"

I familiari di Ghirardini: stordito per fargli inghiottire la capsula

Giuseppe Ghirardini (Fotolive)

Giuseppe Ghirardini (Fotolive)

Marcheno (Brescia), 9 ottobre 2016 - Si chiama droga dello stupro. Addormenta il sistema nervoso, causa la perdita della memoria, produce effetti sedativi, ipnotici, dissociativi, lasciando il soggetto alla mercè altrui. Il sospetto che la droga sia stata impiegata su Giuseppe Ghirardini per indurlo a inghiottire due capsule di cianuro esce dalla consulenza tossicologica fatta eseguire dalla famiglia del dipendente della fonderia Bozzoli di Marcheno. Ghirardini si allontanò dalla sua abitazione la mattina del 14 ottobre di un anno fa e venne ritrovato quattro giorni dopo, avvelenato dal cianuro. La sera dell’8 ottobre Mario Bozzoli, titolare dell’azienda insieme con il fratello Adelio, era svanito nel nulla. Quella sera anche Ghirardini era in turno nella fabbrica.

Tutto questo consolida quella che è da sempre l’assoluta certezza dei familiari: Giuseppe non si è ucciso, non aveva nessuna volontà di morire. Roberto Stefana, amico di Ghirardini, è il portavoce delle sorelle dell’operaio. «Siamo certi che Beppe non si è ammazzato ma è stato, per così dire, costretto a togliersi la vita. Un nostro consulente tossicologo si è occupato dell’autopsia di Beppe, le sue osservazioni sono state consegnate in questi giorni al pm. C’è un’ipotesi, fatta dal consulente che sta lavorando con i legali delle sorelle, Maria Costanza Rossi e Sebastiano Sartori. L’ipotesi è quella che Beppe sia stato narcotizzato con la cosiddetta droga dello stupro che toglie la volontà e fa compiere azioni a comando».

Non solo. «Abbiamo ricostruito il percorso seguito da Beppe. Alle 14.30 il suo cellulare riceve la chiamata della sorella Ernestina: vuole avvisarlo che i carabinieri lo hanno cercato per sentire anche lui sulla scomparsa di Mario Bozzoli. La chiamata aggancia la cella di Crocedomini. Non c’è risposta. Non è vero che Beppe abbia risposto dicendo di essere a caccia. Seguono altre chiamate e il cellulare è muto, ‘morto’. Sono importanti gli orari e le distanze. L’auto di Beppe viene avvistata alle 11.45 da un pastore già nella zona di Ponte, non si muoverà di lì e lì verrà ritrovata. Questo significa che Ghirardini muore fra le 12 e le 14.30, al massimo le 15. Alle 14.30, quando chiama la sorella, qualcuno ha in tasca il suo cellulare. Subito dopo lo butta, magari dopo avere staccato la batteria. Ho parlato con un esperto di celle telefoniche. Mi ha detto che una cella non può essere agganciata oltre un raggio di 40 chilometri. Fra il Crocedomini e Ponte di Legno ce ne sono circa 80». Stefana ripensa anche un altro episodio. «Qualche giorno dopo la scomparsa di Bozzoli, quando Beppe si trovava ancora fra noi, ero in un bar. È entrato uno sconosciuto. Ha bevuto un caffè e parlando di Mario ha detto che c’entrava la mafia russa. Alla luce di quanto è successo, mi piacerebbe sapere chi era quell’uomo».

«Vogliamo la verità per mio fratello Beppe e per Mario Bozzoli». Giacomina, una delle sorelle di Ghirardini, è vivace e battagliera come sempre. «Noi siamo quattro sorelle, ci sosteniamo a vicenda. La signora Bozzoli invece è sola con due figli. Mio fratello non si è suicidato. Non aveva nessun motivo per farlo. Aspettava il suo bambino dal Brasile. Quella mattina doveva andare a caccia, aveva preparato tutto l’occorrente sul tavolo. Ha rinunciato per la pioggia. Ha salutato mio cognato che era alla finestra e gli ha chiesto se fosse andato a caccia. ‘No, ha risposto Beppe, pioveva. Semmai faccio un giro nel pomeriggio con i cani’. Che mio fratello non si è suicidato me lo dice il cuore ma anche la logica. Uno non ingoia una capsula intera di cianuro, guarda un po’ che non sono morto, aspetta che ne butto giù un’altra. Dà un morso alla capsula, inghiotte il contenuto e muore subito, senza bisogno della seconda capsula». Speranze? «Speriamo nella verità e nella chiarezza. Non è solo la famiglia Ghirardini a chiederlo. Lo chiede anche tutta Marcheno, la gente che incontro in strada, al cimitero: per Beppe e per Mario».