Giallo di Marcheno: "Mi incateno in Procura se non si arriva alla verità"

Mina Ghirardini non crede al suicidio del fratello

Sara Pelizzari e Giacomina, Mina, Ghirardini

Sara Pelizzari e Giacomina, Mina, Ghirardini

Marcheno (Brescia), 4 maggio 2017 - Le labbra di Giuseppe Ghirardini che l’autopsia scopre segnate, ferite, rovinate. Come per una ingestione violenta, forzata, delle due capsule di cianuro: quella ritrovata, intatta, nello stomaco, e l’altra, che l’ha ucciso. Un particolare ripreso anche nel romanzo-verità “Delitto ‘quasi’ perfetto. La verità di Giuseppe Ghirardini”, scritto da Sara Pelizzari. Un libro che dà voce alle sorelle di Ghirardini, incrollabili nella convinzione che Beppe sia stato ucciso. Tiene viva, nella prolungata stagnazione della vicenda, l’attenzione sul doppio giallo della Valtrompia. La sera dell’8 ottobre del 2015 l’imprenditore Mario Bozzoli sparisce all’interno della sua fonderia, a Marcheno. La mattina del 14 ottobre Ghirardini si allontana in auto dalla sua abitazione, alla frazione Aleno. Viene ritrovato quattro giorni dopo, nella località Case di Viso, sopra Ponte di Legno, avvelenato dal cianuro.

«L’idea del libro - dice Sara Pelizzari - nasce da una telefonata che ha ricevuto da Roberto Stefana, il portavoce della famiglia Ghirardini. Mi ha colpito che Beppe era stato per quasi una decina d’anni dipendente dell’azienza di stampaggio di mio padre. Ho parlato con le sorelle, con alcuni amici di Beppe. Non può essersi ucciso. Come cacciatore, aveva a disposizione i suoi fucili. Poteva trovare tanti luoghi vicino casa per uccidersi e invece ha percorso chilometri e chilometri. Era felice perché a Natale avrebbe rivisto suo figlio dopo cinque anni. Nel libro sostengo la tesi che gli assassini di quello che chiamo ‘signor Martini’ hanno voluto uccidere Beppe per far credere che si fosse suicidato perché coinvolto nella morte del suo datore di lavoro. Così l’attenzione si sarebbe concentrata tutta sulla sua morte. Ecco il delitto ‘quasi’ perfetto”.

Giacomina, Mina in famiglia, è la più battagliera delle sorelle di Ghirardini. «Io non mi fermo. E non mi fermerò finché non avrò la verità sulla morte di mio fratello. A costo di incatenarmi davanti alla procura. A costo di organizzare una manifestazione. Non siamo solo noi sorelle. C’è un paese che vuole la verità: per Beppe e per Mario Bozzoli. È la gente che incontro, che mi ferma per strada, a dirmi di andare avanti. Sono sicura che Beppe non aveva visto niente, non era stato testimone di niente. Avrà detto qualcosa, magari manifestato un dubbio, un sospetto. Lo avrà fatto senza penare alle conseguenze, alla cattiveria di qualcuno. È stata la sua condanna a morte».