Dal carcere il riscatto passa (anche) dalla fabbrica

La Givi di Flero si aggiunge alle aziende che dà lavoro a detenuti o ex detenuti

Sandro Dal Maschio, direttore di Nitor (Fotolive)

Sandro Dal Maschio, direttore di Nitor (Fotolive)

Brescia, 12 febbraio 2018 - Dal carcere all’azienda, assunti a tempo indeterminato. Si allunga l’elenco delle realtà imprenditoriali che accettano la scommessa di fare lavorare detenuti o ex detenuti. Dopo Magazzini del Caffè spa, Pintossi Più C e Acquolina in bocca, da un mese e mezzo della lista fa parte anche Givi, storica azienda di Flero specializzata in caschi e accessori per moto. In due (uno è in semilibertà, l’altro ha saldato il conto con la giustizia) hanno firmato un contratto per confezionare bauletti. «Uno è già stato stabilizzato, l’altro sta concludendo il tirocinio – spiega Sandro Dal Maschio, direttore di Nitor, la cooperativa che fa da tramite e garante –. È un progetto in via sperimentale. Però abbiamo già prodotto due lotti di bauletti e stiamo per produrre il terzo».

Nitor e la direzione di Verziano da anni si danno da fare per fornire ai reclusi la possibilità di reinserirsi dal punto di vista sociale e lavorativo. E hanno avviato dentro la casa di reclusione una sorta di ufficio di collocamento e di centro di formazione permanente: «L’obiettivo è dare lavoro all’esterno. Può capitare però che qualcuno fatichi a lavorare in gruppo dopo l’esperienza della reclusione. Quindi abbiamo pensato di avviare produzioni interne, così da seguire meglio i detenuti e offrire a più persone possibili l’occasione di misurarsi con il lavoro».

Attualmente sette persone lavorano all’esterno: due da Givi, le altre tra le realtà che gravitano attorno a Nitor (pulizie industriali, logistica e assemblaggi) e Pintossi Più C. «Tutti hanno un contratto regolare. Inizialmente li assumiamo noi. Ma chi è bravo e affidabile capita poi sia assunto dalle aziende». Molte altre commesse sono in trattativa e potrebbero arrivare a Verziano ma c’è un limite: «Lo spazio, il carcere è piccolo. È assurdo, l’ordinamento penitenziario recita che il lavoro è fondamentale per il detenuto e poi non si riescono a fare girare i camion. Gli imprenditori chiedono qualità e continuità. Con un po’ di impegno i risultati ci sono».