Desenzano sul Garda (Brescia), 18 aprile 2014 - Una cartolina postale spedita da un soldato ai genitori dall’orrore di Auschwitz per comunicare la cosa più importante: sono vivo. Settant’anni dopo la cartolina, incredibilmente ritrovata in un mercatino, è giunta là dove era diretta, in una casa in via Mazzini a Desenzano del Garda. Quel soldato se n’è andato venticinque anni fa. Ci sono la moglie e il figlio. Per mesi, dopo esserne entrato in possesso, il figlio ha tenuto nascosta la cartolina, l’ha guardata, letta e riletta, accarezzata. L’ha consegnata alla mamma il giorno del suo compleanno. Un regalo straordinario e imprevisto. Il regalo più bello, 70 anni dopo, venuto dal passato che ritorna.

È il 9 settembre 1943. Il giorno prima, la notizia che l’Italia ha firmato l’armistizio con gli Alleati ha sorpreso Cesare Brocchetti, classe 1921, di Desenzano, marconista del quarto reggimento Genio della divisione alpina «Pusteria», in una caserma di Bolzano. Irrompono i tedeschi, tutti i militari italiani vengono fatti prigionieri e avviati verso la Germania su vagoni piombati. Dachau, Buchenwald, Auschwitz. Il soldatino desenzanese vede da vicino la terrificante realtà dei lager. Cesare viene internato nel campo di lavoro di Ravensbruck, una novantina di chilometri a nord di Berlino. «La fortuna di mio padre - dice il figlio Attlio - è stata quella di avere imparato bene le lingue al liceo “Bagatta» di Desenzano, fondato dall’imperatore Francesco Giuseppe. Il tedesco gli è servito da prigioniero, il francese quando sono arrivati i russi».

Il 21 agosto Cesare scrive da Auschwitz una cartolina postale a papà Ercoliano e mamma Maria: «Cari, con questa mia vi do la partecipazione del mio passaggio a lavoratore da sabato 19 c.m. Il mio indirizzo è quello sul retro. Per prima cosa vi faccio noto che potete scrivermi con posta regolare senza aspettare le mie e in questa settimana comincerò anch’io. Quindi scrivete tutti i giorni. Lo stesso per i pacchi non occorrono moduli. Mi occorre subito un paio pantaloni non belli calze e portafoglio tabacco ecc. Sto bene. Baci. Cesare. Posso viaggiare per la zona e non abbiamo più la guardia».

«I tedeschi - racconta Attilio - lo hanno utilizzato sopprattutto come interprete. Quando, nel febbraio del ’45, è arrivata l’Armata rossa di Zukov parlava in francese con gli ufficiali che lo avevano incaricato della raccolta del bestiame nella zona. Il suo viaggio verso casa è iniziato al seguito dei russi. In un mitragliamento aereo è stato ferito a una gamba, la pallottola ha tranciato tibia e perone. E’ rimasto per due mesi in un ospedale da campo. Da Berlino ha raggiunto la Svizzera a piedi e con mezzi di fortuna. A Ginevra è riuscito a salire su un treno della Croce rossa. La linea Milano-Venezia era distrutta. Ha viaggiato su linee secondarie fino a Castiglione delle Stiviere. Si è avviato a piedi. Uno conoscente lo ha riconosciuto e ha avvertito suo padre che gli è andato incontro in bicicletta, ha rimediato un carretto e ce lo ha caricato».

La vita di Cesare Brochetti termina nel 1989. La sua straordinaria avventura gli sopravvive. Attilio racconta l’epilogo. «Sono funzionario della direzione di “Navigarda”. Il 24 gennaio è venuto da me il mio collaboratore Maurizio Del Marco. “Guarda, Attilio, è stata trovata una lettera. Vogliono sapere quante famiglie Brocchetta ci sono a Desenzano”. “Non più di quattro o cinque, ho risposto, speriamo che non sia una busta verde, quella degli atti giudiziari”. “Ma no, arriva da Auschwitz”. Maurizio è stato ufficiale dei bersaglieri, è appassionato di loro cimeli. È in contatto con un collezionista di Sirmione che aveva trovato la cartolina a Comacchio, su una bancarella. Tre giorni dopo l’ho avuta in mano. C’era il timbro postale di Brescia e la data 9 ottobre 1944. Era arrivata a un passo da casa e si era perduta. All’epoca c’era una linea per Suzzara e Mantova, forse la cartolina era finita lì sopra per arrivare a Comacchio».

«Per due settimane sono stato fuori di testa per l’emozione. Ho nascosto la cartolina postale dal 27 gennaio al 15 aprile, martedì scorso, quando mia madre ha compiuto 88 anni. Ho convocato parenti e amici, avevo anche una infermiera e una psicologa, ma mia mamma è più forte di me anche se la notte prima non aveva dormito. L’avevo preparata per settimane, c’era qualcosa di bello, qualcosa che riguardava il papà. Quando le ho messo in mano la cartolina, prima ho visto una faccia che arrossiva e subito dopo una lacrimuccia che spuntava. Non è una donna di molte parole. Mi ha detto solo “grazie”. Adesso la cartolina è nel suo cassetto con gli altri ricordi. E non si tocca».

gabriele.moroni@ilgiorno.net