Brescia, 9 aprile 2014 - Niente da fare per i secessionisti in cella da una settimana con l’accusa di associazione terroristica, eversione dell’ordine democratico e fabbricazione di armi da guerra nel nome della Serenissima. Il gip Enrico Ceravone ha rigettato le richieste di ammorbidimento della misura per tutti. Gli unici a uscire dal carcere finora sono stati Andrea Meneghelli, uno degli indipendentisti veneti, e la conterranea Erika Pizzo, trasferita ai domiciliari.

Quanto ai bresciani, rimangono in cella Corrado Manessi, il dipendente della Cassa padana che avrebbe aiutato il gruppo a raccogliere fondi; Roberto Abeni, che avrebbe fatto da tramite per trovare armieri da convincere alla causa; Michele Cattaneo, il giovane tornitore accusato di avere fabbricato il piccolo cannone da apporre sulla ruspa modificata.

E ancora, in cella anche Angelo Zanardini – l’unico a rispondere alle domande del gip, professando la propria estraneità a qualsiasi violenza – che avrebbe raccolto denaro; e Stefano Ferrari, reclutatore di fedelissimi e procacciatore delle divise da «Secessionista doc». Rimane ai domiciliari anche Giancarlo Orini, il 74enne bresciano considerato padre dell’associazione Alleanza», per sua stessa ammissione un «suddito della Repubblica Serenissima».

In molti stanno valutando di ricorrere al Riesame, anche perché nel frattempo a Verona è tornato in libertà un altro presunto secessionista, Renato Zoppi. L’indagine della procura di Brescia, sfociata in 24 misure cautelari e una cinquantina di indagati a piede libero, ha acceso i riflettori su una attività pseudopolitica sull’asse lombardo-veneto che, secondo gli inquirenti, era sul punto di dare corso a azioni violente. I carabinieri del Ros hanno sequestrato un «tanko», un carro armato artigianale creato sulla base di una ruspa, in un capannone ribattezzato arsenale, a Casale di Scodosia (Padova) . Un mezzo sul quale secondo la magistratura sarebbe stato presto montato un piccolo cannone, con cui sarebbero già state fatte prove di fuoco a salve.

Un blindato potenzialmente offensivo, che nei piani avrebbe dovuto scendere in campo per un’azione in piazza San Marco a Venezia, con il coinvolgimento di centinaia di persone, alcune armate. Un’azione fotocopia di quella del maggio 1997, in questo caso però risolutiva sulla via della secessione. L’inchiesta avrebbe inoltre messo in luce contatti sospetti con la criminalità albanese per il reperimento di armi.

beatrice.raspa@ilgiorno.net