Brescia, 5 aprile 2014 - La seconda prova di fuoco con Tanko aveva fatto tremare il capannone a Casale di Scodosia, li aveva spaventati facendoli sobbalzare. Ma i tre bossoli in ottone, già torniti, con cui avrebbero armato la bocca da fuoco della pala cingolata trasformata in blindato, misuravano tredici centimetri, il doppio di quelli di una pistola Browning, e le sfere d’acciaio sarebbero state devastanti. Vagheggiavano un esercito, ma, dopo avere fatto confezionare la prima divisa, si erano accorti di essere rimasti sprovvisti del denaro per vestire i loro soldati. Tanko, 28 tonnellate di peso più 10 di blindatura, è stato collocato in una caserma dell’esercito, in Lombardia.

I suoi ideatori e manovratori sfilano davanti al giudice a spiegare il loro sogno di secessione, di un gesto eclatante per scatenare le masse più esasperate fino alla restaurazione della Repubblica Serenissima del Veneto. Fedeltà, devozione, obbedienza assoluta ai comandi dell’associazione L’Alleanza e al governo che avrebbe costituito. Punizione severa per chi avesse trasgredito o peggio tradito. Doveva esserne consapevole il neofita che firmava la scheda di adesione dopo avere scorso un lungo elenco di doveri. La compilava con i dati personali, la professione, le attitudini. «Bravo in poligono, porto d’armi», era annotato su una scheda. Il reclutamento era spedito.

Solo la componente bresciana riteneva di poter contare su almeno trenta persone. Secondo gli investigatori quelle avvicinate o da avvicinare erano qualche centinaio, soprattutto militanti leghisti della prima ora o fuoriusciti dal Carroccio. Il lavoro sui carri armati (sei, nel progetto iniziale, poi ridotti a due) aveva ricevuto adesioni tanto numerose ed entusiastiche che Luigi Faccia, uno dei Serenissimi storici, lamentava la sovrabbondanza di manodopera, quando invece ci sarebbe stata la necessità di personale specializzato, per esempio di saldatori. Tutti gli arruolati ignoravano l’obiettivo finale, tranne le reclute più recenti, che avevano ricevuto qualche confidenza sul progetto dai capi, sempre più sicuri con il trascorrere del tempo: nessuno li denunciava, nessuno svelava il piano.  Tutte verità che andranno cercate anche nei circa cinquanta computer sequestrati. Sono iniziati gli interrogatori di garanzia.

Sentiti per rogatoria dal gip di Padova, Rita Gambardella, hanno scelto il silenzio gli ex Serenissimi Flavio Contin (ai domiciliari) e Luigi Faccia — che ha letto a giudice una breve dichiarazione, dichiarandosi «prigioniero di guerra» — e Riccardo Lovato. A Verona il gip di Brescia, Enrico Ceravone, ha interrogato Lucio Chiavegato, leader dei «forconi » veneti, Pietro Turco e Andrea Meneghello, che per il difensore Luca Pavanetto «hanno chiarito la loro estraneità». Barbara Benini, moglie di Chiavegato, ha comunicato che il marito proseguirà lo sciopero della fame «a oltranza». Questa mattina, nel carcere di Santa Bona a Treviso, verrà ascoltato il fondatore della Liga Veneta ed ex sottosegretario Franco Rocchetta. Sempre in mattinata, nel carcere di Canton Mombello, l’interrogatorio di cinque dei bresciani arrestati. Giancarlo Orini, presidente dell’Alleanza, agli arresti domiciliari, sarà interrogato lunedì.