Gavardo (Brescia), 25 novembre 2013 - «Guardate, è lì, correte, lo vedo». Un folla è assiepata lungo il parapetto che costeggia il fiume Chiese a Gavardo, entroterra gardesano a una trentina di chilometri da Brescia, quando intorno alle 13 una signora del paese caccia un urlo, il braccio teso a indicare il centro del corso d’acqua in piena e gelido. Tra la corrente limacciosa fanno capolino le suole di un paio di scarpe da ginnastica. Le scarpe di un ragazzo di sedici anni. La notte tra sabato e domenica il giovane, studente in un istituto agrario a Lonato, sotto gli occhi sgomenti e increduli di un coetaneo si è lanciato nel torrente Naviglio grande, che a valle confluisce nel fiume. E adesso non c’è più.

L’epilogo della vita di un ragazzino solare e vivace, con “il sorriso più contagioso della lebbra”, scherzano gli amici, si consuma tra le due e le tre. Una manciata di minuti, le percezioni sballate da qualche bicchiere di troppo e forse dall’assunzione di altre sostanze, e il giovane finisce inghiottito nelle rapide. Trascorso il sabato sera a una festa nella vicina Castrezzone di Muscoline, l’adolescente si sente male. Si fa riaccompagnare prima a casa, e poi a fare due passi per il paese, per ritornare in sé. Non vuole farsi vedere così dai famigliari. Mormora frase sconnesse.

«L’avevo portato io in auto alla festa – racconta Paolo (il nome è di fantasia, ndr) -. Un paio d’ore più tardi e ha cominciato a straparlare. Forse aveva preso qualcosa di forte. ‘Voglio andarmene’, mi ripeteva. Con un altro ragazzo ci siamo detti: se non si riprende lo portiamo all’ospedale. Io dovevo riportare la macchina a mia sorella, così l’ho lasciato con lui. Li ho accompagnati a casa di lui. Delirava, diceva che non poteva farcela, che voleva morire. Quando me ne sono andato erano in giardino. Alle tre mi ha chiamato sotto choc l’amico: era andato con lui a fare una passeggiata in centro e di colpo lo ha visto correre, scavalcare la ringhiera e lanciarsi nel fiume». A stabilire quanto le percezioni del sedicenne fossero alterate, e perché, sarà l’autopsia. Quel che è certo è che il suo corpo, trascinato dalla corrente, è riaffiorato trecento metri a valle, all’altezza di via Tebaldina.

Per ore, notte e giorno, il Chiese è stato setacciato dai vigili del fuoco, intervenuti con i sommozzatori, dalla protezione civile e dai carabinieri. Per rendere possibile l’avvistamento è stato abbassato il livello dell’acqua di alcuni metri. Per l’intero pomeriggio nella caserma dei militari di Gavardo sono sfilati gli amici del giovane. Bocche cucite tra gli inquirenti, che hanno acquisito le immagini delle telecamere in zona “Isolo”, vicino al cancello dove è avvenuto il tuffo fatale.

Anche se la dinamica lascia poco spazio a dubbi – sembra ormai assodato che il gesto sia stato volontario – rimangono da chiarire le ragioni. Tra chi conosceva il sedicenne si sono susseguite le ipotesi più disparate – un gesto estremo? Un gioco finito male? – senza tuttavia che nessuna di queste convincesse appieno. Secondo figlio di una famiglia originaria di Lumezzane – papà imprenditore, mamma casalinga, due sorelle – viene descritto come allegro e irriverente, poco incline alle tristezze benché stesse vivendo difficoltà emotive. Il suo cuore batteva per Bob Marley e la musica rap, le serate in discoteca, lo scooter e il Milan. Faceva il duro, ma nell’intimo era rimasto «un bambinone affettuoso», come lo ricorda una sua professoressa.

beatrice.raspa@ilgiorno.net