Brescia, 26 ottobre 2013 - Pena ridotta a dieci anni al papà-giustiziere per l’omicidio di Ionut Iamandita, il diciottenne romeno ucciso il 26 ottobre 2011 a colpi di fucile al campo nomadi di Calcinatello. Luciano Manca, 52 anni, non ci aveva più visto dopo la morte per overdose della figlia Francesca, stroncata a 29 anni dalla cocaina che aveva scoperto acquistare proprio tra le baracche dei nomadi di Calcinatello. In primo grado l’operaio era stato condannato a 12 anni e ieri i giudici d’appello — presidente Enrico Fischetti — hanno ammorbidito la condanna, accogliendo la richiesta del procuratore generale Domenico Chiaro che si era pronunciato per una riformulazione al ribasso della pena e per il riconoscimento dell’attenuante di avere agito in stato d’ira.

Per Angelo Villini, difensore dell’imputato (in cella da due anni e presente in aula, ndr) «è una sentenza giusta. L’attenuante sollecitata da noi e dalla Procura generale non è stata concessa, e questo ci lascia spazio per un ricorso in Cassazione — osserva l’avvocato dicendosi soddisfatto —. Ma quel che più conta è che adesso Manca tra tre anni potrebbe già beneficiare del regime di semilibertà». Ionut Iamandita fu ucciso per sbaglio poco prima di diventare padre perché si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato: a cena da un parente. Affranto dalla rabbia e dalla disperazione per la morte della figlia, Manca, sempre più depresso, quella sera si recò al campo con il fucile da caccia a pallettoni. Fece fuoco verso la baracca in cui vide accesa la luce.

La stessa dalla quale settimane prima aveva visto uscire Francesca con la droga. La stessa in cui Ionut stava cenando: «Volevo solo spaventarli, non uccidere — si giustificò con i carabinieri rendendo piena confessione —. Volevo che quelli la smettessero di spacciare». Per motivare lo stato psicologico che armò la mano del suo assistito, Villini ha chiesto l’acquisizione del decreto di rinvio a giudizio per spaccio di Adriana Radulovic, una parente della vittima pizzicata a smerciare coca proprio tra le baracche di Calcinatello.

L’istanza però è stata rigettata. Il processo si è svolto in tranquillità, sotto gli occhi vigili delle forze dell’ordine preallertate per una situazione potenzialmente a rischio tensioni. In occasione del primo grado, infatti, i parenti del diciottenne romeno quando videro presentarsi in aula Manca diedero in escandescenze. Cercarono di aggredirlo a borsettate e presero a urlare «bastardo, assassino». A verdetto emesso, grande allora fu il rammarico per una giustizia ritenuta dalla famiglia Iamandita profondamente ingiusta. Imputato e legale furono costretti a lasciare il tribunale scortati dai carabinieri.

di Beatrice Raspa