Brescia, 31 gennaio 2013 - Ergastolo, con 3 anni di isolamento. Si è conclusa così ieri la requisitoria del pm Ambrogio Cassiani, che per Daniele Saravini, ex poliziotto di Parma sedicente mediatore finanziario, alla sbarra in Assise per l’omicidio degli imprenditori macedoni Hristo Uzonov e Ekrem Salija, 42 e 45 anni, ha chiesto il massimo della pena. Per la Procura non c’è dubbio: Saravini avrebbe organizzato l’esecuzione dei macedoni, uccisi a colpi di pistola la sera del 23 giugno 2011 nei boschi del monte Maddalena in città e ritrovati per caso il 15 ottobre da una famiglia in cerca di funghi. I due avevano versato a Saravini 400mila euro in cambio della promessa di un finanziamento di 20 milioni e rotti per realizzare un centro commerciale a Skopje, Macedonia.

Denaro mai arrivato. Il mega raggiro fu scoperto e gli imprenditori stavano con il fiato sul collo all’ex poliziotto, che per questo avrebbe architettato l’eliminazione. Il 23 giugno Salija e Uzonov avevano raggiunto Brescia proprio per avere chiarimenti. Speravano di incontrare Saravini. Ma quella sera furono portati in Maddalena, dove trovarono solo gli esecutori materiali del delitto, l’ex carabiniere Luca Cerubini (già condannato all’ergastolo in abbreviato il 13 dicembre scorso) autista dell’imputato, e il buttafuori Andrea Volonghi, poi fuggito in Tunisia, laggiù incarcerato e in attesa di estradizione.

Saravini era in Emilia, regista del progetto, cui Cerubini tre giorni dopo a garanzia della avvenuta missione consegnò i passaporti delle vittime. Per il pm troppi elementi lo inchiodano: le molte chiamate con i macedoni dal 15 al 20 giugno e poi il black out sospetto; le email di minaccia in risposta alle intimidazioni ricevute («Smettetela, anche io ho i miei uomini»); il ritrovamento dei passaporti nella sua scrivania. «Daniele disse che erano di persone che avevano dato fastidio e che erano già finite sotto terra», lo incastrò la ex moglie Giulia Cucchi nella sua deposizione.

Cerubini, che nel corso del suo processo accusò il complice Volonghi («A sparare fu lui») in Assise ha scelto di non parlare. Per la difesa siamo in presenza di «deduzioni logiche prive di riscontri e prove documentali». Sentenza attesa il 13 febbraio.