di Federica Pacella

Brescia, 9 settembre 2012 — C’è una bomba ad orologeria sotto Brescia. Dopo lo scoppio del caso Caffaro, nel 2001, l’azienda fu obbligata ad emungere circa 10milioni di metri cubi di acqua all’anno dalla falda sotto il terreno inquinato, per mantenerla bassa. Si doveva evitare che l’acqua intercettasse l’enorme quantità di inquinanti presenti nel sottosuolo, con conseguente contaminazione della falda cittadina. «Per ora lo sta facendo l’azienda, che è in liquidazione. Ma le risorse finiranno e la palla passerà agli enti pubblici. Ci vorranno dei soldi, tanti: le istituzioni ci stanno pensando?». Se lo chiede, e non per la prima volta, lo storico ambientalista Marino Ruzzenenti che del sito d’interesse nazionale bresciano si occupa ormai da più di 10 anni.

Dati alla mano, Ruzzenenti aveva già denunciato nel 2007 che, in quanto a diossine, Brescia era messa peggio di Seveso, cittadina milanese che nel 1976 fu investita da una nube tossica causata dallo scoppio di un reattore della ditta Icmesa. Ma a Seveso allora ci fu un piano di evacuazione. A Brescia, dopo 10 anni, non c’è neanche un piano di bonifica. Il caso Ilva ha solleticato Ruzzenenti, che si è preso la briga di confrontare i dati Arpa sulle concentrazioni di diossine e Pcb (Policlorobifenili) presenti nell’acciaieria pugliese con quelle della Caffaro. I risultati, pubblicati sul sito www.ambientebrescia.it, fanno sobbalzare.

Il picco massimo di diossine nell’Ilva arriva a 351 nanogrammi per chilo. A Brescia, nel terreno sotto la Caffaro, a 325.000 nanogrammi. Ma il limite consentito è di 100. IL Pcb nell’Ilva è inferiore al limite di 5mg/kg; sotto la Caffaro c’è una concentrazione di 69.000 mg/kg. Ancora, attorno all’Ilva le diossine (limite, 10 ngTEQ/kg) toccano i 10,3 nanogrammi; 3.332 i nanogrammi rilevati attorno alla Caffaro. Stessa storia per il Pcb (limite, 60 micgrogrammi/kg): intorno all’Ilva si rilevano 458,41 microgrammi, intorno alla Caffaro 6.300. Impietosi anche i numeri su polveri sottili e sulla concentrazione di diossine nel latte materno: Brescia è messa peggio di Taranto.

«La differenza è culturale – commenta Ruzzenenti – a Taranto, hanno vissuto l’industrializzazione come una imposizione esterna per cui ora pretendono che chi ha sbagliato paghi e sono riusciti a ottenere dal governo 340 milioni per la bonifica; a Brescia, c’è un effetto rimozione». È come se i bresciani si fossero rassegnati a pagare le conseguenze dell’industrializzazione, di cui sono stati artefici e di cui hanno beneficiato a lungo». «Si deve pretendere che la bonifica parta. Negli ultimi anni comitati di cittadini si informano e chiedono spiegazioni. Anche dalle istituzioni locali qualcosa si muove, a giugno sono state fatte sei Commissioni sui temi ambientali». Ma non basta. «A Taranto i soldi per la bonifica sono stati stanziati. Brescia attende da anni 6 milioni, anche se i dati sono altrettanto allarmanti».