"Io addestratore della Jihad? Solo per errori e omissioni"

Ricorre in Cassazione il maghrebino condannato in Appello. Lui, «Asrar il combattente» pianificava attacchi a Israele e alla sinagoga di Milano di Beatrice Raspa

Jarmoune viene fermato dalla polizia nel marzo 2012

Jarmoune viene fermato dalla polizia nel marzo 2012

Niardo, 29 settembre 2014 - «Mohamed Jarmoune non è un terrorista, né è mai stato in procinto di compiere attentati dinamitardi». Dunque merita l’assoluzione, o quantomeno la concessione delle attenuanti generiche. La difesa del 23enne marocchino di Niardo, Valcamonica, accusato di addestramento al terrorismo internazionale, affila le armi. L’avvocato Giuseppe De Carlo del foro di Milano ha portato in Cassazione la sentenza di condanna a 4 anni e 8 mesi emessa il 7 marzo 2014 dall Corte d’assise d’appello. Recluso nel carcere di Rossano Calabro (Cosenza), Jarmoune aveva già ottenuto un piccolo sconto di pena rispetto al primo grado, quando il gup al termine dell’abbreviato gli aveva inflitto 5 anni e 4 mesi. Ma non basta: i giudici di secondo grado hanno sentenziato con una motivazione «insufficiente, inconsistente e contradditoria e illogica» scrive il legale in 22 pagine indirizzate agli ermellini.

Naturalizzato bresciano — è in Italia da quando aveva 6 anni — Jarmoune, era stato arrestato dalla Digos il 15 marzo 2012. Jarmoune ha sempre negato ogni accusa, ma per la Procura e la Polizia si mimetizzava nella rete con l’abilità di un hacker, servendosi di diversi account per propagandare la lotta al nemico numero uno, Israele. “Mohamed il Berbero”, oppure “Asrar il Combattente”, uno dei suoi molti alias, avrebbe maneggiato manuali per il confezionamento di esplosivi e listini scaricati da internet con i prezzi di sostanze chimiche utilizzabili per la fabbricazione di bombe casalinghe.

Per De Carlo, però, quelle non sono prove indicative di una attività di addestramento: «Tutti i file-video sono rappresentazioni amatoriali» memorizzati sul pc del ragazzo a scopo informativo e basta. «Non sono stati condivisi ma solo memorizzati e non offrono alcuna specifica istruzione circa la costruzione di armi», si legge nel ricorso. E ancora: quei files «derivavano dalla navigazione web ed erano accessibili a chiunque». I giudici d’appello inoltre per la difesa hanno «omesso di valutare che le indagini non hanno accertato con chi fosse in contatto Jarmoune», «valorizzano in maniera esaltativa il sopralluogo virtuale alla comunità ebraica di Milano» pur senza prova che il video sia stato realizzato dal giovane.