Caso Yara, l’attrazione per il signor nessuno: "Così il delitto diventa popolare"

La psicologa Vera Slepoj analizza il fenomeno mediatico “Bossetti” di Gabriele Moroni SCHEDA - FOTO - VIDEO

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Milano, 5 luglio 2015 - La figura del presunto assassino che si sovrappone a quella della parte soccombente. Processi che nel loro allungarsi sembrano portare l’opinione pubblica sempre più lontano dal fatto cruento da cui sono scaturiti. Il processo a Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio ripropone la questione. Domande per Vera Slepoj, psicoterapeuta e scrittrice, ultimo libro «Le ferite degli uomini».

La gente può arrivare a “dimenticare”, a rimuovere il ricordo di una vittima per interessarsi solo al possibile carnefice? «È già accaduto per Cogne, Avetrana, Novi Ligure, Garlasco, Perugia. Esiste la fascinazione per il criminale. Molti di questi sono figure apparentemente prive di personalità, inconsistenti».

E quindi non dovrebbero suscitare un interesse particolare. «Al contrario. Anche l’inconsistenza ha la sua fascinazione. È il mito al contrario, la mediocrità anziché l’eccellenza. Landru era un personaggio grigio, modesto, un non personaggio. Chi vedendo Totò Riina basso, aspetto modesto, con un immobilismo facciale, quasi fisico, potrebbe immaginare che ha condizionato la vita di milioni di persone? L’inconsistenza, il grigiore di una figura provocano il ‘perché’ della gente, il chiedersi come è stato possibile che abbia commesso l’enormità di cui è accusato».

Questo meccanismo è scattato anche per Bossetti? «Il mistero di ‘Ignoto 1’, che aveva lasciato il suo Dna sugli indumenti di Yara, era la base di un caso da letteratura ‘nera’. Invitava, quasi istigava all’enigma, alle ipotesi da formulare, a una soluzione da trovare. Poi è spuntato Bossetti, un ‘signor nessuno’ che vive da anonimo nella zona, che parla quasi per slogan, che pare privo di consistenza emotiva, non ha niente del criminale che, invece, si porta dentro tutte le caratteristiche del suo essere tale. La gente non è attratta da Bossetti in sé ma dalla modestia della sua figura, quella inconsistenza di cui si diceva, il suo non essere per nulla personaggio. Questo porta a chiedersi se è stato lui e come è stato possibile, come ha fatto, come può non esserne consapevole».

In tutto questo ci si è scordati di una piccola vittima, una ragazzina di tredici anni.  «Yara è stata pensata, cercata, immaginata, pianta, elaborata da tutta l’Italia. La sua figura e la tragedia della sua morte sono state vissute, interiorizzate. È stata una esperienza collettiva. Da Yara l’attenzione si è spostata al presunto responsabile della sua morte. Il fatto che si parli meno della vittima non significa che sia stata dimenticata. Il bisogno che oggi avverte la gente è quello che Yara abbia giustizia. E ha bisogno di capire se Bossetti è colpevole, se è possibile che abbia commesso quello di cui è accusato» 

gabriele.moroni@ilgiorno.net