Yara, lo sfogo della moglie di Bossetti: "Non è stato lui, la sera siamo sempre in casa"

Marita Comi, moglie del presunto assassino di Yara Gambirasio, difende il marito, sposato quindici anni fa di Gabriele Moroni

Massimo Bossetti (Olycom)

Massimo Bossetti (Olycom)

Mepello, 9 agosto 2014 - «Da quando è rinchiuso l’ho incontrato sei volte. Ci guardiamo, lui piange spesso, dice che gli manca tutto. E si chiede perché». Un memoriale. Il lungo sfogo di Marita Comi, moglie di Massimo Giuseppe Bossetti, affidato al settimanale «Gente» in edicola oggi. La loro conoscenza. Il tranquillo lessico familiare. Il ricordo di una vita serena vissuta accanto al «Massi», come lo chiama, sposato nel 1999 dopo otto anni di fidanzamento.  Fino al 16 giugno, il giorno del fermo di Bossetti, quando nella casa di Mapello irrompono i carabinieri. «Mi sono entrati in casa all’improvviso, erano almeno venti carabinieri, erano sulle scale, in cucina, ovunque. Non capivo, loro parlavano, io pensavo solo a mandare via i bambini». I figli, un maschio di 13 anni, due bambine di 10 e 8 anni. Quelli che Marita e gli altri familiari tentano in tutti i modi, ogni giorno, di tutelare, di proteggere. Le loro inevitabili, terribili domande. «In casa quella parola, assassino, non l’abbiamo mai pronunciata. Così come quell’altra parola, carcere. Se i ragazzi chiedono: il papà dove sta? Sta con i carabinieri, rispondiamo. Perché è coinvolto nella storia di Yara, basta». «Sono state scritte tante illazioni e bugie, lui è un bonaccione. Hanno detto che quel pizzetto biondo gli dà una faccia da vizioso. Ma quale vizioso! Lui ha una faccia da buon padre». La convinzione assoluta, le fede nell’innocenza del marito, nonostante la prova del Dna sugli indumenti di Yara. La moglie offre l’alibi al marito: la sera del 26 novembre del 2010, mentre la piccola ginnasta scompariva all’uscita dal centro sportivo di Brembate di Sopra per andare a morire nel campo incolto di Chignolo d’Isola, Bossetti era in casa con la famiglia. «Se Yara - afferma Marita Comi - fosse stata uccisa al mattino o al pomeriggio, non potrei giurare sulla innocenza di mio marito. Ma quella bambina è morta dopo le 19, forse dopo le 22. Massimo non poteva esserci là fuori a uccidere, perché era a casa. Ne sono certa. Perché ogni giorno per noi è identico all’altro. da sempre. Ecco perché io posso sostenere: io so che non è lui, io gli credo. La banalità felice della nostra esistenza è il nostro alibi, la mia sicurezza». Una sicurezza che niente e nessuno pare in grado di scalfire tutta racchiusa in una frase: «Non è stato mio marito a uccidere Yara».