Bossetti condannato, il pianto disperato di mamma Ester: "Credo in lui, non è un mostro"

"Speravo nell’assoluzione Ma avevo messo in conto un’eventuale condanna. Non di questo tipo, però"

Ester Arzuffi con l'avvocato Marcello Bonomo

Ester Arzuffi con l'avvocato Marcello Bonomo

Terno d'Isola, 3 luglio 2016 - È il personaggio centrale di questo fosco dramma. Un ruolo per lei del tutto sgradito, indigesto, confezionato dalla genetica quando ha stabilito con inattaccabile certezza che l’assassino di Yara era il figlio naturale dell’autista di pullman Giuseppe Benedetto Guerinoni. Il nome di Ester Arzuffi era uscito invece dall’elenco delle 532 persone che negli anni avevano lasciato la Val Seriana per trasferirsi in uno dei centri dell’Isola bergamasca. Ester ha negato, anche contro la fredda evidenza della scienza. Ha negato la relazione extraconiugale con l’autista, che le analisi del sangue indicavano come il padre di Massimo e della gemella Laura Letizia, venuti al mondo il 28 ottobre del 1970 all’ospedale di Clusone. Lo ha fatto il giorno del fermo del figlio, quando la nuora Marita l’ha affrontata con i pugni al cielo, esigendo la verità. Ha negato nel primo, drammatico incontro con il figlio detenuto. Ha negato senza mai smettere di negare.  Ester ha perduto Giovanni, il marito, morto lo scorso dicembre dopo una lunga lotta contro la malattia. Teme di perdere il figlio, in cella da due anni e da due giorni confinato nel terribile purgatorio del carcere a vita. La madre di Massimo Bossetti parla fra le lacrime.

Sperava forse nell’assoluzione di suo figlio? «Come madre speravo in un responso diverso. Questo mi fa molto male. Certo mi aspettavo un’assoluzione, ma anche una condanna l’avevamo messa in conto».

E ora? «Continuo a credere in mio figlio, nella sua innocenza». 

Perché è tanto sicura?  «Perché lo conosco, conosco mio figlio e sono certa che non può avere fatto una cosa così mostruosa». 

Ha cambiato casa da poco, anche se continua ad abitare a Terno d’Isola. Si è portata dietro le lettere che il figlio le ha scritto dal carcere, ogni tanto le rilegge. Soprattutto una, che con la data del 24 marzo dello scorso anno, quando il marito era ancora vivo. «Ciao, genitori miei, oggi ho ricevuto la vostra lettera scritta il 22, grazie, la cosa più bella è ricevere le vostre lettere e sapere che mi siete sempre vicini e soprattutto non mi avete mai abbandonato, sia con lo scritto, sia col pensiero, ma soprattutto con la presenza, questo vuol dire avere dei genitori che credono in te, genitori che sempre mi hanno voluto bene e che tantissimo oggi mi vogliono ancora più bene. Voi siete i miei genitori, genitori che ho sempre amato e che amerò per tutta la vita, grazie Mamma, grazie Papà».

Laura Letizia Bossetti non è mancata a una sola udienza del processo al fratello, sempre scortata dallo stesso gruppo di amici fedeli che non l’hanno mai lasciata sola. Una presenza fissa, sempre in prima fila, nello scarso spazio riservato al pubblico. Temevate la condanna? «Un po’ ci aspettavamo che finisse così. Non importa, andiamo avanti. Non è finita. C’è ancora l’appello. Massimo lo porteremo a casa con l’appello. Lo porteremo a casa perché è innocente, ne siamo ancora convinti».

Non le è mai venuto qualche dubbio, per esempio sul Dna? «No, nessun dubbio. E poi il Dna bisogna vederlo».

Dopo la sentenza è riuscita a parlargli? «Non ho potuto salutarlo. Ho lasciato spazio a sua moglie. La famiglia è unita, questo è importante. Andiamo avanti». Gabriele Moroni