Il legale di Bossetti torna all’attacco: "Yara uccisa da un mancino"

Le ferite su Yara Gambirasio potrebbero essere state inferte non con un taglierino o un comune coltello, bensì con un coltello compatibile con un’arma da arti marziali. Chi lo impugnava era mancino. L’azione avrebbe avuto solo l’epilogo mortale nel campo di Chignolo d’Isola dove venne scoperto il corpo, ma si sarebbe svolta altrove di Gabriele Moroni

Massimo Giuseppe Bossetti Il presunto assassino di Yara Gambirasio, in una foto tratta dal suo profilo Facebook

Massimo Giuseppe Bossetti Il presunto assassino di Yara Gambirasio, in una foto tratta dal suo profilo Facebook

Bergamo, 22 febbraio 2015 - Le ferite su Yara Gambirasio potrebbero essere state inferte non con un taglierino o un comune coltello, bensì con un coltello compatibile con un’arma da arti marziali. Chi lo impugnava era mancino. L’azione avrebbe avuto solo l’epilogo mortale nel campo di Chignolo d’Isola dove venne scoperto il corpo, ma si sarebbe svolta altrove. Troppi dubbi, troppe zone d’ombra, troppe possibili alternative mettono in discussione le «indagini a senso unico» e le «verità assolute» che dovrebbero segnare la colpevolezza di Massimo Giuseppe Bossetti, l’artigiano bergamasco in carcere da otto mesi per l’omicidio della ginnasta tredicenne di Brembate di Sopra. Il difensore Claudio Salvagni scende in campo e schiera tutti i suoi consulenti in una conferenza stampa convocata nello studio del legale a Como. 

L’arma. Yara non è stata colpita con un cutter da muratore, sostiene per la difesa il medico legale Dalila Ranaletta. È stata usata un’arma «importante», lama spessa almeno 2 millimetri, una parte molto tagliente e l’altra no. A maneggiarla, come suggerirebbe la traiettoria dei colpi, potrebbe essere stato un mancino, mentre Bossetti è destrimane. Potrebbe assomigliare a un coltello da sub, ma la lama ricorda un coltello usato nel kali filippino, una particolare tecnica di combattimento. 

La scena del crimine. Yara sarebbe stata «spogliata e rivestita» prima di essere trasportata nel campo. Il bordo della maglietta è immacolato, nonostante la profonda ferita alla gola. Gli indumenti non presentano tagli in corrisponenza delle ferite. È «innaturale» la posizione del corpo, con le braccia aperte e le gambe divaricate».  

Il Dna. Il Dna nucleare di «Ignoto 1» (attribuito a Bossetti) non coincide con il mitocondriale. Il Dna mitocondriale dell’indagato non corrisponde al mitocondriale di «Ignoto 1». 

I computer di Bossetti. Secondo il consulente informatico Giuseppe Dezzani c’è una sola ricerca con la parola «tredicenne» che potrebbe essersi generata «automaticamente» e non manualmente».

I tessuti del sedile. Alcune decine di microfibre trovate sugli abiti di Yara sono identiche a quelle del furgone Iveco Daily di Bossetti. «Siamo risaliti - controbatte il criminologo Ezio Denti - al produttore di questi tessuti, che lavorava, almeno fino al 2008, non solo per la Iveco. Quelle fibre sono state utilizzate anche per altri mezzi di trasporto. Anche per i treni».

I reperti piliferi. Sette, rinvenuti all’interno del giubbotto della vittima, sono umani e due portano a Z»una delle 532 persone che negli anni si sono allontanate dalla Valle Seriana. Lo stesso elenco comprendeva anche Ester Arzuffi, madre di Massimo Bossetti.

 

gabriele.moroni@ilgiorno.net