"Bossetti è innocente. Impossibile rilevare tracce di Dna su Yara"

La difesa chiede la scarcerazione: "Serve un altro prelievo. Il primo campione era degradato" di Gabriele Moroni

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

di Gabriele Moroni

Bergamo, 10 settembre 2014 - La difesa di Massimo Giuseppe Bossetti, in carcere da quasi tre mesi per l’omicidio di Yara Gambirasio, chiederà un nuovo prelievo di Dna dagli slip e dai leggings della ginnasta tredicenne. Un nuovo prelievo, hanno precisato gli avvocati Claudio Salvagni e Silvia Gazzetti, non una nuova comparazione. La richiesta verrà formulata in dibattimento, ma discende direttamente da uno dei punti cardine dell’istanza presentata ieri mattina dai difensori per chiedere che il muratore di Mapello venga rimesso in libertà (con la revoca dell’ordinanza di custodia in carcere) oppure sia posto agli arresti domiciliari. La difesa attacca la prova regina contro Bossetti: il suo Dna sugli indumenti della vittima. Com’è possibile, si chiedono i difensori, che un’esigua quantità di materiale organico (tre macchioline di sangue) si sia preservata nel campo di Chignolo d’Isola per tre mesi, dal 26 novembre 2010 al 26 febbraio dell’anno dopo, sottoposto ai rigori dell’inverno, alle intemperie, alle precipitazioni? Com’è possibile che su quel povero corpo sia rimasto un reperto così nitido? Com’è possibile che non fosse a sua volta degradato?

Uno dei due fratellini di Yara non ha riconosciuto Bossetti quando gli è stata mostrata la sua foto. Natan Gambirasio aveva dichiarato che la sorella aveva paura di uno sconosciuto, che per alcuni tratti ricorda Bossetti. Ma non c’è stato il riconoscimento fotografico. Oltre a questo, il bambino parla di un tipo «cicciottello», mentre il carpentiere è piuttosto esile. Le polveri di calce sul corpo e su alcuni indumenti di Yara. Bossetti è un muratore e non è un reato esserlo. È uno degli argomenti (ce ne sarebbero altri) portati sul punto dalla difesa. La cella telefonica. Alle 18.49 di quel 26 novembre 2010 Bossetti chiama il cognato Osvaldo Mazzoleni, con cui lavora in un cantiere a Palazzago. La conversazione è agganciata dalla cella telefonica di via Natta a Mapello, la stessa che alle 17.45 ha agganciato il telefonino di Yara, a Brembate Sopra, dove abita la ragazza. Bossetti (è la replica) vive a Mapello. Non ha mai smentito il suo transito per Brembate al ritorno da Palazzago e le brevi soste in un bar, in un chiosco di benzina, in un’edicola. Un’istanza di una quarantina di pagine per «rileggere criticamente» e confutare i «gravi indizi di colpevolezza». Massimo Bossetti non è un uomo feroce, capace, come sostiene l’ordinanza, di ripetere un atto efferato. In questi quattro anni ha tenuto un comportamento ineccepibile. E se tornasse libero, sarebbe sotto stretto controllo di polizia e sotto gli occhi di tutta l’Italia. Il gip Vincenza Maccora (lo stesso che ha firmato l’ordinanza di custodia) ha cinque giorni per decidere.