Yara, Bossetti cerca conforto con la preghiera. In carcere gli arrivano lettere di insulti

Bossetti guarda la televisione, legge i giornali e riceve lettere. Poi prega e legge il Vangelo di Gabriele Moroni

Massimo Giuseppe Bossetti

Massimo Giuseppe Bossetti

Bergamo, 28 agosto 2014 - Nella sua cella d’isolamento Massimo Giuseppe Bossetti «chiede conto di Dio», prega per sé, prega per la famiglia, prega perché emerga la sua innocenza. A dirlo è l’uomo che da oltre due mesi è vicino, ogni giorno e più di ogni altro, al muratore di Mapello accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio: don Fausto Resmini, da ventisette anni cappellano del carcere di Bergamo. L’unico che può rimanere solo con lui in quei pochi metri quadrati dove Bossetti vive, guardato a vista, dal 16 giugno. Don Fausto parla in una intervista che appare nel nuovo numero di «Credere», in edicola oggi. Bossetti guarda la televisione, legge i giornali, riceve lettere «alcune di insulti e di offese», dice il cappellano. La preghiera, unico momento segreto e libero. Accanto a sé, ha solo il prete. «Io - dice don Fausto - posso aver contro anche tutta la società, ma in quel momento ho davanti un uomo che chiede a me conto di Dio e io non glielo posso negare».

Come prega? «Con la preghiera del rosario e con le formule che i genitori gli hanno insegnato, che uniscono l’aspetto del suo rapporto con Dio al senso di amore per la famiglia. È Bossetti che mi chiede la preghiera e la lettura del Vangelo. La sente come sollievo, aiuto e stimolo.  Per chi prega, Massimo Bossetti? «Chiede che si interceda per sé e i familiari, i suoi figli e - com’è tradizione - le persone cui non pensa nessuno. Poiché si dichiara innocente, prega anche per la soluzione positiva del caso che lo vede coinvolto». Preghiere senza disperazione. «La disperazione - spiega don Resmini - l’ho trovata spesso in carcere in chi è lontano dalla vita di fede. Dove invece c’è il riconoscimento della fede, trovo i detenuti capaci di chiedere scusa e perdono».

Ventisette anni trascorsi fra l’umanità dietro le sbarre. I colpevoli. I criminali. Gli uomini del terrorismo. Questa volta ha di fronte un detenuto accusato della morte di una bambina. Don Fausto Resmini non si pone il dilemma colpevole o innocente. «Che sia innocente o colpevole, a me è affidato un uomo. E in nome del Vangelo io mi incontro con un uomo. Indipendentemente da come è dipinto dalla stampa, da come è visto dal magistrato, da come è trattato dall’amministrazione carceraria, da come finità quest’indagine. E in quest’uomo, ora il più indesiderato e scomodo, io devo dare ascolto alla sua richiesta d’aiuto, camminare insieme a lui, anche sfidando il pregiudizio».

di Gabriele Moroni