Milano, 27 giugno 2012 - Filippo Carobbio è un ragazzone di 32 anni che amava il calcio e lo giocava da protagonista nella sana provincia italiana. Un bel giorno il pallone avvelenato gli ha fatto perdere la testa, il centrocampista dai piedi buoni arrivato in serie A dopo tanta gavetta è diventato uno dei simboli del football malato. Ha taroccato partite, è finito in galera, si è pentito. Un tunnel lunghissimo affrontato con angoscia, paura, dubbi. Quando finirà quest’inferno? L’ex di AlbinoLeffe, Bari, Grosseto e Siena risponde al cellulare da Bruxelles. E’ a casa di parenti, la voce emozionata. Ha voglia di sfogarsi, di far conoscere la sua verità, di respingere certe accuse. Ma ha pure il timore di cadere in trappole mediatiche. Lo rassicuriamo, si fida. E apre lo scrigno dei segreti.

Le prime sentenze della Procura Federale hanno dimostrato l’attendibilità delle sue rivelazioni, ma questo non gli basta, non lo rasserena. Resta una macchia indelebile, quelle stagioni («Due, non sette o dieci come qualcuno sostiene») a combinare partite che gli sono costate venti mesi di squalifica.

Uno sconto dovuto al ravvedimento, ma che non evita la vergogna.

«Prima il carcere, poi la gogna, poi le offese, ora la squalifica. Sono sei mesi che non dormo e mi sogno i personaggi dell’inchiesta, magistrati, Conte e altri ancora. Non ho mai avuto tutta questa popolarità, ma la vita me la sono rovinata da solo, sto pagando per gli errori commessi e ancora oggi ho paura quando sui muri vicino a casa e su internet leggo certe cose terribili su di me. La parola più gentile è infame...».

Come può un calciatore di serie A inguaiarsi in questo modo?

«Sono stato troppo “leggero“ su cose molto gravi. Pensavo di combinare una cavolata, alla fine mi sono reso conto di aver fatto una pazzia e mi sono preso le mie responsabilità. Ma mi sono pentito per davvero, mai e poi mai rifarei certe cose».

I verbali sono impietosi con lei...
«Ho venduto delle partite e combinato delle altre, ma non ho mai scommesso altrimenti mi sarei arricchito. E non lo sono. Io avevo paura delle scommesse, e quando Gervasoni, saputo dell’accordo con l’AlbinoLeffe mi propose di scommettere con lui, gli risposi di no. In vita mia ho giocato solo una volta al casino, 500 euro. Poi mai più».

Ma vendersi una partita trattando con gli zingari è più grave che scommettere. Possibile non se ne sia reso conto?

«Sono stato ingenuo, non immaginavo cosa ci fosse dietro. Incontri certa gente, brutta gente, e poi entri in un meccanismo da cui è complicato venirne fuori, una sorta di circolo vizioso. Se tu fai parte di quel sistema la prima e la seconda volta, poi ti vengono a cercare, ti rompono le scatole, e alla fine perdi la testa. Me ne sono accorto troppo tardi ma non sono il male del calcio. Ho vinto 4 campionati, ho contribuito alla salvezza dell’AlbinoLeffe, ho indossato quella maglia 175 volte e certo non ho mai giocato per far retrocedere la mia squadra. Non sono io ad aver rovinato il mondo del pallone».

Infatti siete in parecchi a pagare...

«Ancora pochi, forse. Vedo tanta omertà e ipocrisia. Nel calcio tutti sanno ma nessuno parla, perché c’è tanto da perdere in un ambiente che non perdona e dove basta poco per sputtanarsi. Se qualcuno avesse vuotato il sacco come ho fatto io, togliendosi un peso dalla coscienza, allora sarebbe stato il finimondo. Anche Gervasoni, l'altro pentito, ha avuto un atteggiamento diverso dal mio: lui ha raccontato ciò che gli riferivano, io ho detto quel che ho visto e combinato. Per fortuna, comunque, un po’ di pulizia è stata fatta, anche se non so fin quando durerà. Prima o poi il marcio ricomparirà».

Forse di lei non si sarebbe parlato tanto se non avesse fatto il nome di Conte...

«L’ha presa male e mi spiace per lui, ma io ho solo detto la verità: prima di Novara-Siena ci disse di stare tranquilli, in albergo si capiva che la gara sarebbe finita così, da giorni c’era puzza di pareggio e alla fine lo savevano tutti. Da parte mia resta stima nei confronti del mio ex allenatore e non è certo quel che è accaduto che mi fa cambiare idea su di lui. La verità è che nessuno dice che a fine stagione certe cose sono sempre accadute, che è normale che ci si metta d’accordo. Sbaglio o anche Buffon ha detto che è meglio avere due feriti che un morto?»

Qualcuno sostiene che fra lei e Conte ci fosse dell’astio...

«Non è assolutamente vero. Mi ha portato prima al Bari e poi mi ha voluto al Siena. Nel Bari restai pochi mesi, non giocai neppure una partita perché Conte si dimise il 30 giugno e arrivò Ventura. E in piena estate io fui mandato al Grosseto».

Conte a parte, ci sono diverse gare dei toscani sotto inchiesta. Non solo le partite di fine stagione.

«E’ vero, ce ne sono 7-8, ma io non conosco tutto quel che accadeva. Ho raccontato gli episodi relativi alle partite col Novara e l’AlbinoLeffe, ma per quel che riguarda le accuse dei calciatori del Modena al presidente Mezzaroma che si sarebbe comprato la gara, non so niente».

Cosa le resta dopo tutta questa vicenda?

«Tanta amarezza. Io non ho l’immagine e il curriculum di altri calciatori e quindi tutti si dimenticano di me. Per ora aiuto una comunità di tossicodipendenti, almeno faccio del bene a qualcuno. Dopo venti mesi di squalifica, se tutto mi va bene, al massimo potrò tornare a giocare in prima categoria. Ma resterò per sempre l’infame...».
 

di Giulio Mola