Processo Bossetti, la polizia: "Il corpo di Yara portato a Chignolo da uno del posto"

L'ex capo della squadra mobile di Bergamo Gianpaolo Bonafini lo ha detto al processo in cui è imputato Massimo Bossetti, ricostruendo anche come si è risaliti al Dna del muratore di Mapello

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Bergamo, 2 ottobre 2015 - Chi aveva portato Yara nel campo di Chignolo d'Isola  «era nato in quella zona, oppure vi viveva o la frequentava per motivi di lavoro». Insomma, conosceva il posto. E'Il luogo in cui è stato ritrovato il corpo di Yara Gambirasio a Chignolo d'Isola l'ipotesi nata subito fra gli investigatori, quando, il 26 febbraio del 2011, fu trovato il corpo di Yara Gambirasio. L'ex capo della Squadra mobile di Bergamo, ora a Venezia, Gianpaolo Bonafini, nell'aula del processo a Massimo Bossetti, ha spiegato i passaggi attraverso i quali gli investigatori sono giunti al muratore di Mapello. L'ipotesi che l'assassino di Yara conoscesse la zona deriva dal fatto che il percorso dall'impianto sportivo da cui Yara era scomparsa tre mesi prima e il campo «non è lineare» e contempla «strade secondarie» che difficilmente chi non conosce la zona poteva percorrere.

Le indagini si concentrarono sui dipendenti delle 14 aziende nei pressi del campo e furono sentite quasi 800 persone. Poi si prese in esame la discoteca Sabbie Mobili, anche perché qualche mese prima, nei pressi era stato trovato il corpo di un ragazzo sudamericano ucciso Eddy Castillo  (per il cui omicidio è già intervenuta una condanna). Tre mesi dopo il ritrovamento, nel maggio 2011 i carabinieri del Ris isolarono il Dna di Ignoto 1, trovato sul corpo di Yara Gambirasio. Delle 31.926  persone tesserate per il locale da ballo negli anni precedenti, incrociando stati di famiglia e altre caratteristiche, si giunse a una rosa di 476 persone residenti a Brembate che furono sentitee a cui fu prelevato il Dna. Altri cinque mesi dopo, il 21 ottobre del 2011 la Polizia scientifica comunicò che uno dei Dna prelevati aveva un «aplotipo Y uguale a quello trovato sugli slip» della ragazza uccisa.

Questo Dna apparteneva a un componente della famiglia di Giuseppe Guerinoni, autista di autobus morto nel 1999. Il nipote Damiano, al quale era stato prelevato il Dna, nel periodo della sparizione di Yara, era all'estero in missione umanitaria in Perù e non poteva aver avuto un ruolo nella vicenda. Si pensò quindi all'esistenza di un figlio illegittimo che, secondo gli investigatori, è risultato essere Bossetti. Venne ricostruita tutta la linea della famiglia Guerinoni usando sia l'archivio comunale di Gorno sia l'archivio parrocchiale risalendo sino al 1719. Le indagini partono dalla discendenza di Giò Angelo Guerinoni nato nel 1905. Uno dei figli maschi era proprio Giuseppe Benedetto Guerinoni e l'altro Sergio che era papà di Damiano. Fondamentale fu il Dna di Giuseppe ricavato da due francobolli di cartoline da lui spedite alla figlia e dalla marca da bollo della sua patente. L'ultimo accertamento biostatistico trova una compatibilità tra il dna di Giueseppe e Ignoto 1 del 99,99999987%. Quindi Giuseppe è il padre di Ignoto 1. Trovato il padre bisogna trovare la madre perché ignoto 1 è evidentemente nato da una relazione illegittima. Parte quindi la ricerca di figli illegittimi o riconosciuti dalla sola madre.

La svolta è quando viene composto un elenco di 539 persone che hanno lasciato la Valle Seriana per trasferirsi nella Isola Bergamasca. In questo elenco compare il nome di Bossetti, Ester Arzuffi, nata nel 1947, trasferita a Parre nel 1966 . Lo stesso Comune lo stesso anno dove si trasferì Guerinoni. Il 27 luglio del 2012 viene prelevato un campione salivare per l'estrazione del Dna. Viene comparato il dna mitocondriale di Ignoto 1 e a questo punto si indaga sui figli della donna. Le indagini puntano su Bossetti che viene fermato il 16 giugno del 2014.

LA SORELLA - «È assolutamente innocente, ne sono convinta e per me mio padre è sempre Giovanni Bossetti». La sorella di Massimo Bossetti, Laura Letizia, al termine dell'udienza ribadisce la sua convinzione: «Massimo non c'entra niente». La donna, che assiste a tutte le udienze, in quanto non è testimone, oggi ha cercato di avvicinarlo, ma ha desistito dall'entrare in contatto con lui, visto che era circondato dagli agenti della polizia penitenziaria. «L'ho visto sereno come sempre - ha detto Laura Letizia -. E anche gli agenti sono sempre molto gentili con lui». Ma il Dna dice che Massimo non è figlio di Giovanni, le è stato detto. «Per me mio padre è e rimane Giovanni, poi si vedrà». Nel pomeriggio ha deposto un funzionario del gabinetto di polizia scientifica regionale di Milano che ha ricostruito le fasi in cui intervenne per 'congelare' la scena del delitto il 26 febbraio del 2011, quando il corpo di Yara Gambirasio venne trovato in un campo a Chignolo d'Isola.

IL RITROVAMENTO - Il sostituto commissario Dario Redaelli, del gabinetto regionale di polizia scientifica di Milano, ebbe l'impressione che Yara, quando fu trovata morta, stringesse «nel pugno destro dell'erba ancora attaccata a terra». Il funzionario di polizia, che intervenne il 26 febbraio 2011 nel campo di Chignolo d'Isola, ricostruendo le operazioni per 'congelarè la scena del delitto, ha confermato quanto dichiarato, l'udienza scorsa, dall'ex comandante del Ros di Brescia, ora a Torino, Michele Lorusso, sul fatto che la ragazzina stringesse dell'erba ancora radicata al terreno. Una circostanza, questa, che confligge con l'ipotesi, più volte avanzata dalla difesa di Massimo Bossetti, secondo la quale la ragazza potrebbe essere stata uccisa altrove e poi portata successivamente nel campo. «Vedremo dalle immagini - hanno detto gli avvocati di Bossetti Claudio Salvagni e Paolo Camporini - che non è così. Quella del funzionario era solo un'impressione». Redaelli, in aula, ha ricostruito nel dettaglio le operazioni con cui fu delimitata la zona entro la quale furono cercati i reperti (13 oggetti in un'area di circa 7mila metri). Operazioni che durarono dalle 17.20 del 26 febbraio fino alle 18 del giorno dopo, interrotte solamente per l'ispezione del cadavere che fu esclusivo compito del medico legale e dei suoi assistenti, l'anatomopatologo Cristina Cattaneo che deporrà nella prossima udienza, il 7 ottobre. «Tutto il personale della polizia scientifica - ha detto Redaelli - fu 'tipizzato'», nel senso che fu prelevato a tutti gli agenti il Dna.

IL CONTROESAME - Gli avvocati di Massimo Bossetti hanno effettuato un controesame dell'ex capo della Mobile, riguardo la testimonianza di alcune persone che, nelle fasi iniziali dell'indagine sulla sparizione di Yara Gambirasio rilasciarono dichiarazioni che, però, risultarono inesatte e non trovarono riscontro. Gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini hanno chiesto conto al funzionario della Polizia di Stato di tutti gli accertamenti su dichiarazioni rese da testimoni che avevano raccontato di aver visto due persone nei pressi dell'abitazione della ragazza. Dichiarazioni che, però, non collimavano con i tempi della scomparsa di Yara e, in un caso, nemmeno con i tabulati telefonici di uno dei testi. Alcune domande hanno riguardato anche il custode della palestra da cui scomparve la tredicenne, che aveva a disposizione un furgone della società di ginnastica per il trasporto degli atleti. Il mezzo non fu analizzato in quanto, ha spiegato Bonafini, a carico dell'uomo «non era emerso nulla». Al termine dell'udienza i difensori hanno parlato di «lacune e dubbi che restano in un'inchiesta amplissima» e in cui «restano molti punti oscuri».