Bergamo, 16 giugno 2017 - Bergamo piange Nino Cassotti, uno dei fotografi più conosciuti della Bergamasca, e non solo, spentosi stamattina all'età di 77 anni all'hospice di Bergamo, dove era ricoverato da tempo per una grave malattia. Tra i suoi reportage che hanno fatto storia, quello sul disastro di Chernobyl, dove fu il primo occidentale ad entrare per documentare per documentare gli effetti dell'esplosione del reattore nucleare; la guerra civile nell'ex Jugoslavia, il terremoto del Friuli, l'attentato all'Intercity in Val di Sangro, la partenza dalla base di Aviano dei 200 bombardieri della Nato pronti a colpire Milosevic, le manifestazioni anti-apartheid dei neri di Soweto, in Sudafrica. In 50 anni di attività ha lavorato per i più grandi giornali e periodici italiani. insomma, Cassotti, che ha sempre vissuto nella sua Valle Imagna, ha fotografato di tutto: il fascino della dolce vita e sensuale (celebre il clic che immortalò, al "Rugantino" di Joannesburg, il bacio tra Liliana De Curtis, figlia del grande Totò, e il pilota di Formula Uno Riccardo Patrese), le guerre, le tragedie, la distruzione, la morte.
Sempre fedele al motto:"Se le tue fotografie non sono abbastanza belle, non sei abbastanza vicino", pronunciato da Robert Capa poco prima di morire al fronte, in Indocina. Uscire per un servizio e avere accanto il Ninetto, come era soprannominato, era una garanzia (difficilmente si tornava a mani vuote) e al tempo stesso un momento di crescita nel vederlo lavorare, nello scoprire come convinceva i protagonisti del fatto di cronaca a farsi fotografare e nell'ascoltare i suoi consigli, che all'occorrenza non tardavano ad arrivare. Era una chioccia, il Nino, per quanti muovevano i primi passi nella professione giornalistica. Nella sua lunga carriera ha conosciuto numerosi giornalisti che sono poi diventati famosi, come Vittorio Feltri e Giangavino Sulas, ex inviato del settimanale Oggi. Ma i rapporti più stretti Nino Cassotti li aveva mantenuti con quelli che componevano la redazione di Bergamo Oggi, un quotidiano che haavuto poca fortuna, ma dove i talenti di certo non mancavano. Una pattuglia di fedelissimi che periodicamente, prima che stesse male, salivano in Valle Imagna per rendere omaggio al "maestro".